di Lorenzo Santucci
A sentire Donald Trump, Ron DeSantis non è altro che "un repubblicano mediocre con buone pubbliche relazioni", politicamente "morto" alle primarie del 2018 e risorto solo grazie a lui, dopo che "è venuto a chiedermi aiuto disperato". Il comunicato stampa di venerdì, con cui il tycoon ha lanciato bordate contro la nuova stella dei conservatori e i giornali che lo sostengono - "Fox, il Wall Street Journal e il non più grande New York Post" -, è un fulmine a ciel sereno che si abbatte sul Gop. Le uniche nuvole che aleggiano sopra la testa del partito, uscito dal midterm non come avrebbe voluto, sono quelle su cui soffia l'ex presidente, innervosito dal fatto di dover condividere la leadership con "Ron DeSanctimonius", è "Ron il bigotto" nella retorica trumpiana. Nella notte di mercoledì, all'appello dei repubblicani vittoriosi elencati e celebrati da The Donald, non solo mancava proprio il nome del governatore della Florida, ma addirittura DeSantis veniva pubblicamente minacciato. "Se Ron correrà, dirò cose che non sono belle sul suo conto. So di lui più di chiunque altro, forse più di sua moglie".
Insomma, io ti ho creato, io ti distruggo. Il motivo è semplice: con la rielezione plebiscito in Florida, Ron DeSantis nutre lecite aspirazioni per la Casa Bianca, diventando l'unico in grado di partecipare a una gara in cui Trump credeva di trovarsi in solitaria. D'altronde le elezioni di metà mandato hanno smentito che il tycoon sia indispensabile per i repubblicani, anzi hanno dimostrato che c'è vita oltre Trump, anche se forse non oltre i suoi dogmi e la sua retorica.
Ron DeSantis, in fondo, è proprio questo. Molti lo definiscono un Donald Trump più giovane (44 anni) ed educato, una evoluzione del trumpismo. Quel che è certo è che si tratta di un vincente. Negli ultimi vent'anni la Florida è stata terreno di conquista per democratici e repubblicani, che si sono alternati alla guida. Martedì, invece, più che un'elezione è stata un'incoronazione. DeSantis ha staccato di 19 punti il suo avversario Charlie Crist. Quello che il governatore è riuscito a realizzare specialmente negli ultimi due anni è stato rinominato "modello Florida", permettendo allo Stato del sud di diventare il fiore all'occhiello dell'America. Ci è riuscito a modo suo, o meglio mettendo in pratica le ricette di Trump, ma ottenendo molti più risultati.
Dal 2020, due sono state le battaglie su cui si è battuto strenuamente. Sul Covid si è opposto all'obbligo dei vaccini e alle misure drastiche del lockdown, limitandosi a chiedere responsabilità ai propri cittadini, ma rifiutandosi di chiudere le attività o di fare lezioni da remoto nelle scuole. Così come si è rifiutato di sottostare all'ideologia woke, all'oltranzismo del politicamente corretto e della cancel culture, considerato dal governatore una minaccia da combattere anche legislativamente. Con l'avvicinarsi delle elezioni, inoltre, ha voluto aprire un braccio di ferro anche sull'immigrazione, tema caldissimo nella campagna elettorale, imbarcando (illegalmente) i migranti su aerei e bus che li avrebbero portati negli Stati amministrati dei democratici, sbolognando a loro la questione, alzando la pressione. "La sopravvivenza dell'esperimento americano richiede una rinascita dei veri principi americani e la Florida ha dimostrato che si può fare. Offriamo un raggio di speranza: ci aspettano giorni migliori", ha affermato mercoledì notte dal Tampa Convention Center.
Al suo fianco la moglie Casey, figura centrale nella sua vita, e i loro tre figli chiamati con la stessa iniziale (in ordine di età: Madison, Mason e Mamie). Per DeSantis ci sono pochi ma fondamentali punti fermi: Dio, patria, famiglia. Gli affetti più cari sono apparsi numerose volte in pubblico e hanno prestato il proprio volto per supportare il governatore. In un video per la campagna elettorale del 2018, mentre la first lady della Florida – un'ex conduttrice televisiva di notiziari e altri programmi, alcuni prodotti anche dalla Cnn – parlava del perché fosse giusto votare per suo marito, DeSantis indottrinava suo figlio con le teorie trumpiste e lo aiutava nella costruzione simbolica di un muro, realizzato con mattoncini di plastica.
In un altro più recente, Casey DeSantis raccontava della sua lotta contro il cancro al seno mentre sotto scorrevano le foto del marito. "Se volete sapere chi è veramente Ron DeSantis", affermava seduta sul divano, "quando mi è stato diagnosticato un cancro e stavo affrontando la battaglia per la mia vita, era il papà che si prendeva cura dei miei figli quando non potevo. Era lì per sollevarmi da terra quando letteralmente non potevo stare in piedi. Era lì per combattere per me quando non avevo la forza di combattere per me stessa". Quattro giorni prima del midterm, era stata ancora una volta Casey a dipingerlo agli elettori come un grande uomo. Nel video postato su Twitter si vedono scorrere le immagini in bianco e nero di DeSantis, con la sua famiglia sempre presente, mentre una voce narrante elenca le sue gesta e lo descrive come un supereroe. Ci sono decine di video così durante le campagne elettorali, ma questo è diverso dagli altri per il discorso biblico, a iniziare dal titolo della clip ("God wants Ron DeSantis to be Governor") che attribuiva un senso divino alla sua elezione. In appena un minuto e quarantanove secondi di filmato, la parola "Dio" viene ripetuta dieci volte e in un passaggio viene sottolineato come, arrivato all'ottavo giorno, il Creatore avesse necessità di un protettore. "Così Dio ha creato un combattente": ha creato Ron DeSantis.
Quella che può apparire come pura megalomania, è invece un elemento estremamente politico. Ponendo la fede al centro del suo lavoro, le idee del governatore di Tallahassee che punta a Washington sono fortemente influenzate dai valori cristiani, che si ritrovano sotto tanti aspetti. Come nelle teorie gender, che DeSantis respinge con tutto se stesso e cerca di estromettere da qualsiasi luogo. "In Florida, non lasceremo che l'agenda woke dell'estrema sinistra prenda il controllo delle nostre scuole e dei nostri luoghi di lavoro. Non c'è posto per l'indottrinamento o la discriminazione. Non permetteremo che i dollari delle tasse vengano spesi per insegnare ai bambini a odiare il nostro Paese o a odiarsi a vicenda". Con lo Stop Woke Act, DeSantis spiegava agli insegnanti in che modo dovessero essere trattati temi come la schiavitù, la sessualità, l'identità di genere e altre questioni divisive. Celandosi dietro l'inadeguatezza dell'affrontare certi argomenti con i bambini, con la nuova norma i genitori degli studenti possono denunciare i professori che ignorano queste indicazioni. Di fatto, veniva loro impedito di parlare. Stesso fine previsto dalla legge "Parental Rights in Education", ribattezzata "Don't Say Gay". Un concetto che ha ben scandito durante il primo comizio post voto, nella notte di mercoledì: "Abbiamo rispettato i nostri contribuenti e respingiamo l'ideologia woke. La combattiamo nella legislatura, la combattiamo nelle scuole, la combattiamo nelle aziende. Non ci arrenderemo mai e poi mai alla folle woke. La Florida è il posto in cui va a morire".
La sua personale guerra contro la cancel culture ha raggiunto perfino la Disney, che stava rimettendo mano ai suoi storici personaggi per evitare discriminazioni, e la National Collegiate Athletic Association (NCAA). L'associazione sportiva delle università americane aveva concesso a un atleta transgender di partecipare a una gara di nuoto femminile, una decisione che per DeSantis cercava di "minare l'integrità della competizione, incoronando qualcun altro con il titolo di campione femminile". Insomma, la sua è una politica caratterizzata da un Dio, patria, famiglia all'americana.
È davvero complesso trovare delle differenze significative tra le idee di Trump e quelle di DeSantis. La grande differenza che li divide è nei comportamenti, molto più imprevedibili per quanto riguarda l'ex presidente. E inoltre – cosa che spaventa The Donald – nella concretezza. Sulla questione immigrazione, Trump vedeva nel muro al confine con il Messico l'argine migliore per porre fine ai flussi che ciclicamente arrivavano dal sud e dal centro America. Il muro che esisteva ancor prima che l'imprenditore di Manhattan lo facesse diventare il suo marchio di fabbrica, che ha solo allungato di 130 chilometri, mentre gli altri 600 sono stati solo rafforzati. Tuttavia, mentre Trump ha solo urlato per quattro anni di voler difendere i confini degli Stati Uniti, DeSantis ha agito. Dodici anni fa, i floridians avevano deciso di non modificare la geografia elettorale del proprio Paese, ma l'amministrazione conservatrice decise comunque per la modifica. A revocarla nel 2015 fu la Corte Suprema, che chiese di ridisegnare otto distretti, tra cui il Quinto che includeva Orlando e Jacksonville. Così facendo, le minoranze etniche venivano salvaguardate. Alla crescita demografica degli afro e latino americani negli ultimi anni, però, non è mai seguito un nuovo assetto e DeSantis ha deciso per la mazzata finale dimezzando i distretti gestiti dai neri. Negli ultimi mesi, inoltre, ha tenuto banco la sua decisione di spedire i migranti negli Stati controllati dai democratici, possibilmente nelle grandi metropoli, per opporsi alla politica migratoria del governo Biden. Il decreto è stato firmato a giugno ed è costato alla casse della Florida ben 12 milioni di dollari. Oltre al fatto degli aspetti poco legali, come l'impossibilità di spesare con i soldi statali i voli e l'aver affidato i migranti a compagnie aeree amiche, DeSantis mandò in tilt l'intera America. New York, ad esempio, si era mostrata solidale ma il suo sistema di accoglienza ha finito per implodere.
Ron DeSantis è, dunque, il prototipo del leader conservatore. Oltre a tenere testa alle teorie liberali, ha dimostrato di saperci fare anche con i conti, dato che sotto di lui la Florida è letteralmente esplosa. A darle una spinta è stata paradossalmente la pandemia, poiché nulla è cambiato nella quotidianità dei cittadini con la diffusione del virus proprio per volontà di DeSantis. La ripresa economica è stata quindi più facile e veloce rispetto al resto d'America. Il tasso di disoccupazione è il più basso da due anni a questa parte, oltre che a essere sotto la media nazionale, e il Paese è frequentato per lo più da ricchi, che spendono e fanno girare l'economia – e tra i quali c'è anche il governatore, che vanta una formazione universitaria tra Harvard e Yale. Tutti punti che fanno crescere la sua figura in vista delle elezioni del 2024.
Appare il candidato naturale, dopo il successo del midterm. Ma la candidatura non è così scontata. Partiamo da un assunto: il Partito repubblicano ha capito che non esiste solo Trump e prima del voto questa presa di coscienza non era ancora maturata a dovere. Si credeva che il tycoon fosse l'unico, per carisma e capacità politica, a trascinare i conservatori alla Casa Bianca, ma in realtà non è così. Come ammesso da Trump stesso, DeSantis ha dalla sua numerosi media conservatori. "Non credo che Donald Trump sia mai stato più debole di quanto non sia in questo momento tra i repubblicani che lo hanno sostenuto con tutto il cuore e lo hanno votato per due volte. Penso che DeSantis non sia mai stato così caldo", ha affermato Scott Jennings, un ex collaboratore del presidente George W. Bush e del capo dei repubblicani al Senato, Mitch McConnell, oltre che analista politico della Cnn. Mentre prima "il problema era che non fosse chiaro chi avrebbe spinto Trump o guidato il partito in una nuova direzione [...], ora Ron DeSantis non è mai stato in una posizione migliore per dire al Gop che il popolo americano si è espresso. Ci dicono che abbiamo un problema di branding. Il marchio è Trump. E sono qui per dirvi che in breve tempo verrà installato un nuovo reparto marketing. Rimanete sintonizzati". Chiaro come il nuovo canale verrà aperto dal governatore della Florida che, ha aggiunto Jennings, ha dalla sua "la credibilità dei risultati".
L'ambizione di DeSantis è quindi lecita e motivata, ma ancora gli apprezzamenti del partito non sono espliciti per evitare uno scontro interno controproducente. Per di più, è stato appena rieletto governatore e potrebbe voler mantenere la promessa data ai suoi elettori. "Ho appena iniziato a combattere", ha detto mercoledì mettendo in allerta Trump, che si è sentito sfidato e ha reagito. Nonostante sia l'uomo del momento per i repubblicani, DeSantis potrebbe saggiamente aspettare il suo turno, finendo il mandato da governatore, e puntare alle presidenziali del 2028, quando l'era Trump si sarà giocoforza conclusa. Oppure, DeSantis potrebbe sfruttare il momento e candidarsi alle primarie dei conservatori, dove inevitabilmente se la vedrà con il tycoon. Che sta già preparando la guerra al suo delfino, per evitare che il mostro creato da lui stesso possa sfuggirgli dalle mani e prendersi il partito.