di Fabio Marco Fabbri
Il regime degli ayatollah si sta giocando l'ipotetica carta nucleare, forse per far fronte anche alle proteste e a un mai affievolito disprezzo internazionale, ostentando di essere vicino ad avere l'arma atomica. L'Iran rincorre da almeno due decenni il progetto di ottenere la bomba atomica. Già a metà del secolo scorso, in epoca Scià, era iniziato il programma nucleare, poi interrotto nel 1979. Come in ogni nazione "normale", il possesso di tale "forza dissuasiva/offensiva" è garanzia di rispetto geostrategico e di considerazione globale. Ricordo un aspetto: questa bomba è stata utilizzata una sola volta, ossia il 6 e il 9 agosto 1945, su Hiroshima e Nagasaki, cioè contro una nazione non in possesso di tale arma. Diversamente, se il Giappone avesse avuto in dotazione una bomba atomica, molto probabilmente non sarebbero state sganciate dagli Stati Uniti.Il regime degli ayatollah si sta giocando l'ipotetica carta nucleare, forse per far fronte anche alle proteste e a un mai affievolito disprezzo internazionale, ostentando di essere vicino ad avere l'arma atomica. L'Iran rincorre da almeno due decenni il progetto di ottenere la bomba atomica. Già a metà del secolo scorso, in epoca Scià, era iniziato il programma nucleare, poi interrotto nel 1979. Come in ogni nazione "normale", il possesso di tale "forza dissuasiva/offensiva" è garanzia di rispetto geostrategico e di considerazione globale. Ricordo un aspetto: questa bomba è stata utilizzata una sola volta, ossia il 6 e il 9 agosto 1945, su Hiroshima e Nagasaki, cioè contro una nazione non in possesso di tale arma. Diversamente, se il Giappone avesse avuto in dotazione una bomba atomica, molto probabilmente non sarebbero state sganciate dagli Stati Uniti.
Così, sabato scorso, l'Oeai, Agenzia iraniana per l'energia atomica, ha annunciato l'avvio della costruzione di una nuova centrale nucleare nel distretto di Darkhovin – nella provincia del Khuzestan – situato nella zona sud-occidentale dell'Iran. Il programma della costruzione doterebbe l'Iran della seconda centrale nucleare. La prima è a Bouchehr, nell'estremo sud del Paese e ha una potenza di mille megawatt. Per il nuovo impianto è previsto un costo di quasi due miliardi di dollari e dovrebbe concludersi in sette anni. La notizia è stata data con soddisfazione, sulla televisione di Stato, da Mohammad Eslami – direttore dell'Oeai e vicepresidente della Repubblica islamica – il quale ha riferito che l'impianto erogherà trecento megawatt.
Il progetto del nuovo impianto era di vecchia data, così come la costruzione. Inizialmente, era stato appaltato a una società francese, poi ad altre ditte che con lo "scorrere delle sanzioni" hanno desistito dall'avere rapporti con l'Iran, al fine di non cadere in analoghe penalizzazioni. Ricordo che nel 2015, a Vienna, l'Iran aveva accettato di fermare la soglia di arricchimento dell'uranio al 3,67 per cento. L'accordo stipulato con Cina, Stati Uniti, Russia, Germania e Francia interessava soprattutto il noto impianto sotterraneo di Fordo, dove tale processo di arricchimento si sviluppava. L'accordo di Vienna, denominato in inglese Jcpoa, prevedeva l'annullamento delle sanzioni internazionali all'Iran, che come bilanciamento garantiva il congelamento del processo di sviluppo militare del nucleare, che tra l'altro non ha mai ufficialmente ammesso di perseguire. Ovviamente, la posizione di Teheran è stata sempre ambigua, tanto è che nel 2018 l'allora presidente americano, Donald Trump, si ritirò dall'accordo Jcpoa, ripristinando le sanzioni. Da allora Teheran ha riavviato, nell'impianto sotterraneo di Fordo, il processo di arricchimento dell'uranio dal 3,67 al 20 per cento, ufficialmente suggellato nei primi mesi del 2021, quando ha annunciato di aver iniziato a produrre uranio arricchito al 60 per cento, proiettandosi verso quella percentuale utile per la produzione della bomba atomica, che è il 90 per cento.
Tale situazione sta allertando l'Aiea, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica, che a fine novembre ha annunciato come Teheran stia pericolosamente arricchendo l'uranio verso la soglia della "percentuale atomica". Già il 17 novembre, alla luce della nuova violazione degli impegni del 2015, è stata pronunciata un'altra risoluzione contro l'Iran. Ma è giunta in un momento dove i negoziati erano praticamente morti. Il responsabile della sicurezza della Casa Bianca e portavoce del Consiglio, John Kirby, ha comunicato la grave apprensione per il programma nucleare iraniano, per i suoi continui progressi verso la fatidica "soglia del 90 per cento di arricchimento" ma, soprattutto, per i notevoli miglioramenti ottenuti nella gittata dei missili balistici, complementari a tale "programma nucleare".
Al momento, le reazioni di alcuni sottoscrittori dell'accordo del 2015 – Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania – si sono concretizzate con un poco efficace comunicato di condanna. I tre Paesi europei, in particolare, hanno espresso "la non giustificazione civile" da parte dell'Iran nel favorire la proliferazione nucleare. Se escludiamo la Germania, che ha degli "obblighi", da quale pulpito vengono tali moniti?
Tuttavia, all'ombra mediatica e geopolitica di quanto sta accadendo in Ucraina, senza dimenticare la tensione tra Cina e Stati Uniti, pare che si stia sottovalutando quanto sta avvenendo nel Medio e Vicino Oriente. Ma è verosimile che se la Repubblica islamica resisterà alle pressioni interne ed esterne, i prossimi sviluppi del programma nucleare iraniano ridisegneranno la realtà geostrategica di tutta l'area. Ciò dovrà condurre l'Occidente verso una operazione di riavvicinamento con gli Stati della regione euroasiatica, per contenere il crescente potere nucleare iraniano. Le mosse nucleari di Teheran ricadono su un contesto geopolitico molto vasto e in continua fibrillazione, vedi l'acuirsi della crisi tra India e Cina, dove le potenze occidentali si stanno misurando con lo spostamento delle dinamiche euroasiatiche verso l'Oriente. E verso quell'ambiguo asse tra Russia e Cina che, nonostante la concreta battuta di arresto di Vladimir Putin in Ucraina, non mette in discussione il rapporto tra Mosca e Pechino, anche con uno sguardo a Taiwan. L'unica differenza è che Putin non potrà più ostentare con Xi Jinping quel valore militare e relazionale a livello internazionale, soprattutto con l'Occidente, tenendo conto dell'assoluta superiorità economica e demografica della Cina.
Quindi, pare evidente che le ambizioni nucleari iraniane si inseriscono in un contesto più ampio di attacchi agli equilibri globali. Se l'Occidente non limiterà l'Iran, significherà che Mosca e Pechino potranno agire indisturbati con la traballante Teheran.