ROMA - I consolati all'estero rilasciano pochi visti di studio, anche perché non vi è univoca interpretazione sui requisiti necessari per ottenerli. A sostenerlo è il senatore Roberto Menia (FdI) che, insieme al collega Marcheschi, ha interrogato in merito il Ministro degli esteri Tajani.
"In un mondo sempre più interconnesso e globalizzato è di tutta evidenza l'importanza della promozione e diffusione della lingua italiana come strumento di presenza politica, economica, culturale", annota Menia nella premessa, in cui ricorda che "lo stesso portale digitale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale afferma in proposito che "la promozione della lingua italiana all'estero è uno dei principali strumenti di cui dispone il nostro Paese e riveste un ruolo di interesse prioritario per la politica estera italiana. La conoscenza della lingua italiana rappresenta infatti la chiave di lettura necessaria per entrare in contatto con la nostra cultura in senso ampio e per meglio comprendere le dinamiche del "vivere all'italiana""; non vi è dubbio, quindi, che l'insieme delle scuole di italiano per stranieri svolga una funzione importante ed irrinunciabile tanto all'estero quanto in Italia".
"Esiste però da anni – continua il senatore – un problema non risolto che colpisce all'incirca un centinaio di scuole d'italiano per stranieri diffuse nel territorio nazionale, relativo alla concessione dei visti di studio per la lingua italiana, dovuto alla generica definizione del visto stesso previsto dal decreto interministeriale n. 850 dell'11 maggio 2011 recante "Definizione delle tipologie dei visti d'ingresso e dei requisiti per il loro ottenimento"; per la concessione del visto di studio – spiega Menia – viene infatti richiesta la conoscenza pregressa a livello B2 (medio-avanzato) della lingua italiana, requisito che risulta logico e adeguato qualora si voglia accedere a studi universitari o alla formazione professionale, ma altrettanto illogico se si pensa ad esempio all'ipotesi di chi ha intenzione di studiare, anche partendo da una conoscenza minima, la lingua italiana in un contesto italiano".
"Il livello B2 del quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue (QCER) – chiarisce il senatore – stabilisce infatti che lo studente di lingua è in grado di: comprendere i punti chiave di un discorso complesso, riguardo a temi sia concreti sia astratti, includendo argomentazioni tecniche nel proprio campo di specializzazione; interagire con un certo grado di fluidità e spontaneità che rende la conversazione, con i parlanti madrelingua, scorrevole e senza troppe complicazioni; produrre testi chiari e dettagliati con una vasta gamma di soggetti e spiegare il punto di vista su una tematica, considerando vantaggi e svantaggi delle varie opzioni".
Menia rileva, poi, come "negli ultimi tempi sia emersa un'ulteriore restrizione nella concessione di visti per lo studio della lingua italiana da parte degli uffici consolari: sul punto è opportuno ricordare che in passato la circolare della Direzione generale per gli italiani all'estero e le politiche migratorie n. 306/409 152 del 2006 indicava che "la mancata o scarsa conoscenza della lingua italiana non può costituire a priori impedimento al rilascio del visto di studio"".
Il senatore, quindi, chiede al Ministro "se ritenga opportuno intervenire con un atto interpretativo o anche normativo che chiarisca quali debbano essere i requisiti economici, motivazionali, di sicurezza a cui devono riferirsi gli uffici consolari responsabili del rilascio dei visti, con il fine di favorire, anziché ostacolare, lo studio della lingua da parte degli stranieri sul territorio nazionale oltre che all'estero".