Alla Camera presentato e discusso dall’On. Di Sanzo relativo alla scarsità di risorse autorizzate dal MAECI per i riadeguamenti stipendiali del personale a contratto per l’anno 2023, inferiori di quasi il 50% rispetto a quelle del 2022, e ciò che è emerso in maniera disturbante è la volontà dell’Amministrazione di millantare numeri e risorse amplificandone il valore e le potenzialità, sebbene di fatto si tratti di pochi spicci che serviranno soltanto a tappare qualche buco”. È quanto si legge in una nota del Coordinamento Esteri della Confsal Unsa a commento della risposta data dal sottosegretario agli esteri Giorgio Silli all’interrogazione a prima firma Porta (Pd), presentata ieri in Commissione dal collega Di Sanzo.
Nella risposta, accusa il sindacato “il Sottosegretario Silli si è limitato a fare il gioco delle tre carte: i resti di capitoli che passano da un lato all’altro e che si sommano agli evanescenti 500mila euro della legge di bilancio 2023 – secondo lui - dovrebbero riuscire a colmare le istanze di – al momento – 60 Paesi richiedenti? Vale la pena ricordare, ancora una volta, che già le risorse stanziate nel 2022, erano da intendersi una cifra molto bassa rispetto all’effettiva richiesta, e che già all’epoca erano sommate con “resti” e “incrostazioni” di capitoli amministrativi e, malgrado questo, l’esercizio di adeguamento 2022 non è riuscito a soddisfare nemmeno la metà dei Paesi richiedenti a cui erano stati elargiti riadeguamenti “elemosina”, tanto è che nel 2023 sono di nuovo sull’uscio della Farnesina a chiedere un successivo incremento retributivo. Ci sarà una ragione, oppure no?”.
Per il sindacato “non bisogna essere esperti di economia per capire che una riduzione del 40% del valore delle risorse stanziate nel 2022 porterà ad una catastrofe: potrà essere accolto soltanto 1/3 delle richieste, con percentuali di incremento vergognose, sul modello di quanto abbiamo visto l’anno scorso, che condurranno i Paesi a fare nuova richiesta di adeguamento anche nel 2024, in una sorta di girone dantesco senza soluzione di continuità”.
“Silli – aggiunge la Confsal Unsa Esteri – ha parlato di “massima tutela possibile”, ma – ci chiediamo - in che modo il MAECI intenda garantirla. Con buoni propositi e belle parole, quando sarebbe legittimo applicare la legge vigente e dare ossigeno ai lavoratori che al momento sono praticamente gli unici, in alcune sedi, a tenere aperte le postazioni? Per il MAECI è già passata in cavalleria l’impennata inflattiva nella maggioranza dei Paesi ed i correlati costi del mercato del lavoro, che rendono lo scenario attuale ben più grave di quello del 2022 e ciò – da solo – avrebbe dovuto legittimare un aumento delle risorse stanziate per il 2023. Invece, si è pensato bene di ridurle del 40% puntando sui rimasugli derivanti dai pensionamenti (una cinquantina) del personale a contratto a legge italiana: una vera cuccagna!”.
“Si prevedono dimissioni da parte di chi non riuscirà ad affrontare le spese quotidiane, - continua il sindacato – nonchè agitazioni che faremo fatica a controllare, in un momento in cui il Governo investe su made in Italy, sul Sistema Paese e internazionalizzazione: praticamente si intende condurre una guerra con tanti e ben forniti generali ma con soldati con le pezze ai piedi…È veramente questo ciò che vuole la Farnesina?”, si chiede la Confsal Unsa. “Stanti così le cose, il timore è che ci sia già un progetto all’orizzonte per soppiantare gli impiegati a contratto con i c.d. digitatori a 200 euro a mese, come già in essere presso molteplici sedi, privi di qualsiasi diritto, da cambiare ogni semestre, aprendo una faglia nel sistema di salvaguardia di informazioni sensibili e di garanzia nella qualità dei servizi diplomatico-consolari”.
“È questo il futuro del nostro Paese all’estero? La Confsal Unsa – conclude la nota – non ci sta”.