DI MATTEO FORCINITI

"In questo momento ci troviamo completamente paralizzati": si è espresso così l'ambasciatore italiano in Uruguay Giovanni Iannuzzi intervenendo domenica mattina al programma "Spazio Italia" su Radio Sarandí. Dopo aver parlato di tiramisù, commercio, biciclettata e altri argomenti a suo dire cruciali per la comunità, l'ambasciatore ha ammesso chiaramente - come noi denunciamo da tempo - che esiste un problema, quello dei servizi consolari, ormai di pubblico dominio che ha portato anche a manifestazioni di protesta come l'ultima svoltasi sabato pomeriggio all'evento gastronomico organizzato dalla stessa Ambasciata al Mumi, il Museo de las Migraciones di Montevideo. L'indignazione è rivolta in particolare verso il servizio di cittadinanza bloccato: a causa dell'impossibilità di trovare un appuntamento libero, attualmente a molte persone si sta negando il diritto alla cittadinanza nonostante il fatto che esista una legge che riconosce la nazionalità secondo il principio dello ius sanguinis.

Ufficiosamente sappiamo che questo servizio è completamente bloccato dal mese di dicembre e continuerà ad esserlo anche nei prossimi mesi anche se nessuno ha il coraggio di ammetterlo pubblicamente e dire le cose come stanno.

Ma quali sono i motivi che hanno portato al collasso i servizi consolari in Uruguay? "In generale io ho osservato una certa riscoperta dei servizi consolari con l'uscita dal Covid" ha spiegato Iannuzzi dando la colpa in primis alla pandemia nella solita giustificazione continuamente usata un po' ovunque negli ultimi tre anni: "I 18 mesi della pandemia hanno penalizzato molto il servizio. Molta gente, per esempio, è venuta a fare il passaporto uno o due anni dopo la sua scadenza con il ritorno della voglia di viaggiare. Stesso discorso si potrebbe fare con la richiesta di cittadinanza da parte di coloro che avevano riunito la documentazione per iniziare la pratica e tutto questo ha influito".

Oltre a questa "importante pressione" l'ambasciatore ha citato una seconda causa con le "pratiche del Ministero dell'Interno italiano che gestisce le richieste per la cittadinanza per via giudiziaria che finiscono nei nostri uffici". 

Anche se non è stato specificato, sono due questi tipi di richieste che finiscono nei tribunali italiani provocando pesanti conseguenze all'estero: innanzitutto quella per via materna dato che è l'unica possibilità che hanno i discendenti di donne italiane emigrate nati prima del 1° gennaio del 1948. A ciò si aggiungono i processi più recenti contro gli appuntamenti impossibili qualora ci siano irragionevoli tempi di attesa da parte dei consolati.

"In genere" -ha proseguito il rappresentante diplomatico- "la media delle pratiche di cittadinanza che facciamo all'anno è tra le 2.000 e le 2.500. In questo momento però siamo paralizzati con le richieste che ci vengono dall'Italia. Abbiamo dei posti disponibili molto limitati che prevediamo di aumentare tra luglio e agosto. Al fine di quest'anno contiamo di avere all'incirca 136mila iscritti. Questo numero, ovviamente, richiede un'attenzione prioritaria verso coloro che sono già cittadini. Il nostro sforzo è concentrato su questo. Sul tema dei passaporti invece abbiamo un problema generale dell'intero sistema e basta pensare che oggi in Italia per il rinnovo bisogna aspettare tra i cinque e i sei mesi".

Poche le parole sulle promesse dell'aumento del personale, il vero cuore del problema di questa emergenza che non conosce fine anche con una nuova sede costata due milioni di dollari: "L'Ambasciata oggi è sotto di due unità. Stiamo aspettando da Roma l'invio di un contabile e poi abbiamo il concorso per l'assunzione di un impiegato che è stato appena aperto. Quando si parla di personale dobbiamo considerare che c'è un problema generale da parte del Ministero degli Esteri nel coprire le sedi estere, nell'ultimo concorso infatti solo il 30% delle posizioni aperte nel mondo è stato coperto".

Tornando al punto più importante abbiamo ufficialmente appreso, dunque, che oggi in Uruguay l'unico modo che esiste per vedersi riconosciuto il diritto alla cittadinanza è sborsare migliaia di euro per iniziare un processo in Italia. E tutti gli altri? Chi non può permettersi di spendere queste cifre?

Magari nel frattempo può iniziare a trasformarsi in un fedele consumatore dei prodotti italiani perché -come ci ha ricordato lo stesso ambasciatore- "il sentimento italiano va oltre un passaporto". Insomma, spendere e comprare sì ma guai ad esigere il rispetto dei diritti.