La notizia ha suscitato grande scalpore in Italia provocando forti reazioni: ’Organizzazione Mondiale della Sanità starebbe pensando a un’etichettatura speciale nei confronti del parmigiano reggiano per via di un’eccessiva quantità di sale e grassi. Insomma, un avviso ai consumatori che sembra un vero e proprio attacco a uno dei prodotti simbolo del Made in Italy apprezzato in tutto il mondo.
In Uruguay l’ultimo allarme lanciato dall’Oms è passato praticamente inosservato rispetto ai proclami precedenti sul consumo di carne che avevano invece generato forti critiche all’organizzazione internazionale.
Perché oltre a quelli importati direttamente dall’Italia, qui si produce il “parmesano”, un’imitazione dell’originale “parmigiano reggiano” che viene tutelato dall’Unione Europea con la dicitura DOP (Denominazione di Origine Protetta).
Il falso Made in Italy agroalimentare nel mondo, secondo i dati della Coldiretti, provoca danni per 100 miliardi di euro ed ha registrato un aumento record del 70% nel corso dell’ultimo decennio.
Le cifre del “parmesano” in Uruguay sono abbastanza modeste: utilizza circa il 10% di tutto il latte che si lavora nel paese secondo i dati trasmessi a Gente d’Italia da Aupyl (Associazione Uruguaiana delle Piccole e Medie Imprese Lattiere). Tra i produttori di formaggi di origine italiana presenti nel dipartimento di Colonia c’è abbastanza scetticismo sulla proposta dell’Oms.
Il presidente di Aupyl Juan Haller usa toni molto duri: “Dietro queste proposte ci sono poderosi interessi economici. Forse questi allarmi possono beneficiare nuovi prodotti statunitensi da lanciare al mercato. Non capisco queste preoccupazioni con tutti gli alimenti che sono in vendita”.
Lontane origini piemontesi che porta nel cognome materno Malan, Juan Haller è uno dei pochissimi produttori di mozzarella in Uruguay. Sul parmigiano, invece, spiega che “è un’attività abbastanza difficile da portare avanti nel contesto nazionale” visti “gli alti costi di produzione richiesti per la stagionatura”. Piuttosto, considera di fondamentale importanza un intervento delle autorità sul controllo dei prodotti che “contengono sempre più additivi chimici e meno formaggio. Ecco, si dovrebbe intervenire in questi aspetti per mantenere alta la qualità. Altre misure non servono”.
Il rappresentante delle associazioni di categoria appare abbastanza ottimista e prevede uno scenario immutato: “Non credo che alla fine si arriverà a un’etichettatura speciale per il parmigiano o altre misure del genere. Penso anche che i consumatori ormai sono abituati e non si faranno intimidire”.
Un’altra voce di esperienza nel settore è quella di Davis Sonderegger che è stato fino a poco tempo fa presidente di Aupyl. “Se una persona ha problemi con il sale può sempre scegliere l’opzione di scegliere determinati alimenti. Sinceramente, credo che questa misura non avrà alcun esito semplicemente perché è inimmaginabile comparare il parmigiano alle sigarette”.
Anche lui di origine piemontese, Sonderegger esalta invece le caratteristiche di un “prodotto storico come il parmigiano” che “deve essere maggiormente tutelato di fronte agli organismi internazionali”.
Il consumo di questo formaggio in Uruguay, afferma, “resta stabile e si è ormai ritagliato una sua fetta di pubblico tra le fasce medie e alte della popolazione”.
Da oltre 30 anni la famiglia Brassetti, di origini italiane, produce “parmesano” nei pressi di Colonia Valdense. Nelia Brassetti racconta che l’azienda lavora otto varietà di parmesano che hanno attualmente un periodo di stagionatura che dura un anno. Tale periodo è stato dimezzato negli ultimi anni a
causa dell’incremento dei costi.
“Abbiamo un’etichettatura chiara con tutti i valori nutrizionali ben leggibili. Ogni persona è cosciente della propria salute ed è libero di scegliere. Certo i valori del sale e dei grassi sono un po’ più alti rispetto ad altre cose ma in genere non viene consumata una quantità eccessiva quotidianamente”.
La Brassetti dice che la quantità di sodio presente nei suoi prodotti equivale all’11% ma ciò considera che ciò non giustifichi un’etichettatura speciale. “Se entriamo in questo gioco iniziamo a etichettare tutto ma arriviamo a degli estremi. Tutta l’industria dei formaggi è super controllata tanto nella produzione come nella stagionatura. Non abbiamo ogm e additivi chimici. Esistono tantissimi altri prodotti che hanno valori di zuccheri, sale o grassi
più alti. Che cosa facciamo etichettiamo tutto? Sinceramente questa mi sembra un’esagerazione”.
Sulle particolarità del contesto uruguaiano, l’imprenditrice parla del parmesano come di un “prodotto abbastanza difficile” perché richiede “notevoli costi di produzione a partire dall’elettricità per i frigoriferi e la mano d’opera”.
“Non è molto redditizio ma alla fine è un prodotto che si è ritagliato la sua fetta di mercato e ci consente di utilizzare la quantità di latte prodotta in eccesso nella stagione primaverile”.
L’imprenditrice uruguaiana non teme il marchio DOP per proteggere il vero parmigiano ma, anzi, appare favorevole: “Credo che sia giusto difendere i prodotti locali e l’Uruguay dovrebbe prendere esempio dalle politiche europee. Nel nostro caso, noi non abbiamo problemi perché vendiamo un prodotto locale solo nel mercato interno e non utilizziamo la parola parmigiano. Credo che sia giusto porre delle regolamentazioni nel mercato internazionale”.