di SERGIO CARLI
Usa, Cina, Russia. È un triangolo che incombe sulla politica del mondo. Sembra cronaca di oggi ma è la storia di millenni che si rinnova.
Lo stato di conflitto permanente fra estremo est di quello che oggi è Russia Mongolia Afghanistan da una parte e Cina dall’altra affonda le radici nella notte dei tempi. Si è rinnovato nei secoli, è realtà oggi.
I cinesi in espansione demografica guardano alla Siberia come uno sbocco naturale. Mentre il confine con l’India si snoda a quota 4 mila, quello con la Russia è in pianura. Ogni giorno mercanti cinesi invadono la Russia asiatica, sopraffacendo gli inebetiti russi con mercanzie e liquori.
Ecco perché Putin ha paura e con una buona dose di ragione.
Per questo, avendo egli al guinzaglio i presidenti americani Trump e Biden (mentre il Pd è filo cinese almeno fin dai tempi di Clinton), ha ottenuto dagli Usa la guerra commerciale con la Cina e la disastrosa ritirata dall’Afghanistan e poi, contando sulla nuova complicità americana, ha aggredito l’Ucraina.
Gli Usa però non possono fare a meno della Cina, come mercato e come fornitore e indotto.
La Cina a sua volta ha guardato agli Usa come modello e partner non solo dopo l’ascesa di Deng ma ben prima, fin da Mao.
E fin dai tempi di Mao, cioè dai tempi del maggiore espansionismo comunista nel mondo, la Cina guarda con ostilità la Russia, quella di Stalin prima quella di Kruscev dopo; sospetto, disprezzo, preoccupazione.
Diceva Mao: “Alcuni compagni non capiscono. Voglion che si attravesi il mare per prendere Taiwan. Non sono d’accordo. Lasciamo Taiwan dov’è. Taiwan mantiene alta la pressione, aiuta a mantenere l’unità interns. Una volta che la pressione non c’è più, potrebbero esplodee dispute interne”.
Parole di quasi 70 anni fa, valide ancor oggi.