Nel 1284, mentre Genova era in piena guerra con Pisa, si narra che sulle galee dei liguri, a causa di una tempesta, si rovesciarono fino a mescolarsi olio, ceci ed acqua salmastra. Probabilmente l’aspetto non doveva essere dei migliori ma, non avendo altro a disposizione per potersi nutrire, i marinai cominciarono a mangiare questo curioso impasto dopo averlo lasciato seccare al sole. Fu così che secondo la leggenda nacque probabilmente uno dei primi prodotti fast food del mondo, oggi tra le pietanze principali della cultura gastronomica rioplatense grazie all’apporto degli emigrati liguri arrivati massicciamente in queste terre tra l’ottocento ed il novecento.
Cibo poverissimo, sostitutivo del pane, viene preparato stemperando la farina di ceci con acqua ed un pizzico di sale e riposto in una teglia bassa ma dalle grandi dimensioni (si parla di almeno un metro) che in Liguria è chiamata “testo”. In Sud America la fainà fa coppia fissa con la pizza, ed è facile spiegarsi il perché: entrambe vanno cotte in forno a legna ed ogni buon ristoratore che ne possegga uno non si lascia perdere l’occasione di servirli, anche insieme, uno sull’altro nello stesso piatto, nella formula chiamata “a caballo”. Un’abitudine, questa, che potrebbe essere mal vista a Genova o a Napoli ma che, in realtà, riflette il miscuglio di italianità presente in questa zona.
Nonostante la vicinanza tra le due capitali rioplatensi anche solo il modo di riferirsi alla farinata fa capire le sostanziali differenze tra i due paesi: l’argentino infatti utilizza il femminile, più delicato (“La” fainà, come in Italia); l’uruguaiano invece lo considera un piatto maschio, degno compagno della pizza per l’appunto (“El” fainà) ed è diventato una vera e propria icona della gastronomia nazionale. È proprio per questo motivo che ogni
27 agosto si celebra el Día del Auténtico Fainá che ricorda l’arrivo a Montevideo - nel 1915 - dei fratelli Guido considerati i propulsori della pietanza grazie alla loro azienda agricola specializzata nella produzione di farina di ceci. Questa azienda, successivamente, fu venduta ad un altra famiglia che continuò a seguire la tradizione ligure proponendo, nel 2008, la giornata nazionale della farinata.
La fainà Molino Guido fu dichiarata patrimonio storico nazionale e di interesse municipale dal Comune di Montevideo nel 2009. Allora ci furono una serie di iniziative volte a ricordare i cosiddetti “Fainaseros”, ossia i venditori ambulanti italiani che con vestito bianco e fazzoletto rosso vendevano tra le vie di Montevideo la fainà portando una grande teglia sopra la testa. Per molti, in Uruguay, la farinata è anche una difficile scelta filosofica. Fettina del bordo o centrale: è questo l’essere o non essere uruguaiano, il vero problema culinario. La fainà infatti cuoce disomogeneamente nel forno, con un centro morbido e spesso che si assottiglia verso le estremità croccanti e ben dorate. Ad ognuno le sue preferenze. L’unica scelta obbligata è il pepe bianco, da cospargere secondo i gusti sul lato superiore (all’uruguaiana) o inferiore (all’italiana).
“Negli anni sessanta” - racconta a Gente d’Italia l’attuale direttrice del Molino Guido, Mariana Mariño - “ci fu una forte crescita delle pizzerie in Uruguay e ciò permise anche una maggiore diffusione della fainà che oggi è praticamente diventata un marchio di fabbrica della gastronomia nazionale”. Ma qual è il segreto per ottenere la farinata perfetta? “Spesso ce lo chiedono e noi rispondiamo sempre che servono essenzialmente due cose: la materia prima e la mano del pizzaiolo che deve riuscire a raggiungere il punto giusto di cottura che è l’elemento caratteristico: croccante fuori e cremoso dentro. Ovviamente, la si apprezza quando è ancora calda appena uscita dal forno. Un’altra regola fondamentale è il pepe bianco da mettere sul lato ancora più umido in modo da poter essere meglio assorbito”.
Matteo Forciniti