Crescono ancora gli italiani nel mondo, e non solo i giovani spulciando nelle righe del rapporto della Fondazione Migrantes (Cei) si legge che aumentano anche i 50enni che lasciano il Belpaese in cerca di lavoro mentre sale il numero di pensionati che scelgono di trascorrere la vecchiaia in Paesi fiscalmente e meteorologicamente vantaggiosi come Portogallo, Thailandia, Cuba, o negli Stati del Maghreb. Dal documento emergono diversi dati. Dai 422 italiani in Australia portati in centri di detenzione per immigrati irregolari negli ultimi sette anni, all'aumento degli italiani tra senzatetto e persone con problemi psichiatrici a Londra, dalla crescita del numero di studenti di lingua cinese già durante le superiori al crollo del Regno Unito del dopo Brexit tra le mete scelte per l'emigrazione (la Germania torna ad essere invece la prima scelta).
Andando ad analizzare nel dettaglio, nel rapporto emerge che la mobilità italiana, dal 2006 al 2018 è aumentata del 64,7% passando, in valore assoluto, da poco più di 3,1 milioni di iscritti all'Aire (Anagrafe degli italiani residenti all'estero) a più di 5,1 milioni. Oltre la metà di loro vive in Europa (Ue15), per lo più in Germania e Svizzera anche se si registra una presenza del 40% in America, soprattutto in Argentina e in Brasile (che ha superato la
comunità italiana della Francia). La metà degli italiani partiti è di origine meridionale, in particolare Sud con 1.659.421 e Isole con 873.615. A partire sono sicuramente i giovani (37,4% sul totale partenze per espatrio da gennaio a dicembre 2017) e i giovani adulti
(25%), ma le crescite più importanti le si notano dai cinquant'anni in su (+20,7% nella classe di età 50-64 anni; +35,3% nella classe 65-74 anni; +49,8% nella classe 75-84 anni e +78,6% dagli 85 anni in su).
Stiamo assistendo, sottolinea Migrantes, ad un fenomeno dovuto al bisogno di provvedere alla precarietà lavorativa di italiani over 50 rimasti disoccupati e soprattutto privi di prospettive in patria. Si tratta dei cosiddetti "Migranti maturi disoccupati", persone lontane dalla pensione, che hanno bisogno di lavorare per arrivarci e che hanno, contemporaneamente necessità di mantenere la famiglia. In quest'ultima, infatti, spesso si annida la precarietà a più livelli: la disoccupazione, cioè, può coinvolgere anche i figli, ad
esempio, già pronti per il mondo del lavoro o ancora studenti universitari.
Marocco, Thailandia, Spagna, Portogallo, Tunisia, Santo Domingo, Cuba, Romania. Sono le mete scelte dagli italiani che emigrano all'estero. Il "migrante previdenziale", come lo definisce il Rapporto. Che siano pensionati "di lusso", colpiti da precarietà o sull'orlo della povertà, si tratta di numeri sempre più importanti. Le traiettorie tracciate da queste partenze sono ben determinate: si tratta di paesi, sottolinea Migrantes, con in corso una politica di defiscalizzazione, territori dove la vita costa molto meno rispetto all'Italia e dove il potere d'acquisto è, di conseguenza, superiore. Ma non è solo il lato economico a
far propendere o meno al trasferimento: vi sono anche altri elementi, più inerenti alla sfera privata quali il clima, l'humus culturale, la possibilità di essere accompagnati durante il trasferimento e la permanenza.
Quindi le mete principali sono luoghi in cui la vita è climaticamente piacevole, dove è possibile fare una vita più che dignitosa (affitto, bolletta, spesa alimentare) e dove a volte con il costo delle assicurazioni sanitarie private si riesce a curarsi (o almeno a incontrare un medico specialista rispetto al problema di salute avvertito) molto più che in Italia. Per quanto riguarda i ragazzi, il Rapporto rivela che la scuola italiana si sta attrezzando per intraprendere una "scalata alla Grande Muraglia". In base alle ultime rilevazioni effettuate dall'Osservatorio nazionale sull'internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca promosso dalla Fondazione Intercultura emerge che nel 2017 sono 279 gli istituti su tutto il territorio nazionale che hanno attivato l'insegnamento del cinese (l'8% del totale delle nostre scuole superiori), con il coinvolgimento di circa 17.500 studenti di scuole superiori.
L'8% delle scuole - continua il Rapporto - rappresenta certamente un numero di nicchia, ma diversi indicatori fanno immaginare che si tratti di un numero destinato a crescere, dato che un campione rappresentativo di 501 giovani tra i 14 e i 19 anni interpellato nell'ambito della ricerca 'La nuova via della Cina', lo studio del cinese in Italia, realizzata da Fondazione Intercultura nel 2017, menziona il cinese al secondo posto tra le lingue considerate come "strumento fondamentale per il proprio successo futuro" (dopo l'inglese e prima di spagnolo e tedesco). Le scuole più attive nell'insegnamento del cinese sono gli Istituti di Istruzione Superiore (74%), mentre dal punto di vista geografico vi è una maggiore concentrazione, rispetto alla presenza delle scuole sul territorio, nel Nord-Ovest (28% di istituti attivi, rispetto a un universo scuole del 20%).