di BRUNO TUCCI

Anche se si va o non si va a 30 all’ora in Italia diventa un fatto politico. Anzi una polemica politica. Che scoppia e dilaga non appena il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, introduce questa norma.

Velocità a passo d’uomo in alcune strade, se no c’è l’autovelox a ricordarcelo con una multa assai salata. Apriti cielo: gli automobilisti la coinsiderano una vergogna, chi deve arrivare in ufficio alle otto del mattino, compie i salti mortali, perché si trova tra due fuochi: o una contravvenzione di decine di euro, oppure la strigliara del capo ufficio, che lo accusa di essere arrivato in ritardo, sia pure se di un quarto d’ora.

Fin qua, nulla di strano. Quante volte un amministratore dello Stato ha preso una decisione e quante volte ha subìto le contumelie da parte di coloro che hanno dovuto cambiare il loro modo di vivere? Innumerevoli. Gli archivi ne sono pieni di questi battibecchi.

Ma nel nostro allegro Paese il “fatto” ha i contorni di una accesa discussione che coinvolge gli uomini e le donne che abbiamo eletto per andare in Parlamento. Si scatena la bagarre tra destra e sinistra. In questa occasione è la maggioranza a gridare perché l’ordinanza l’ha emessa un sindaco di sinistra, ma sarebbe stato l’esatto contrario se i protagonisti avessero avuto ideologie diverse.

Sarebbe ora di piantarla di organizzare gazzarre ad ogni pie’ sospinto. Un qualsiasi argomento, anche se non è di grandissima importanza, infiamma gli animi e corrono parole grosse come se si trattasse di un problema che coinvolga l’intero Paese.

Possibile che non ci si renda conto che la gente è stanca e vorrebbe vedere soltanto riforme che diano un futuro all’Italia? Invece no. Come nel caso in questione che darà certamente fastidio ad alcuni e ad altri no.

“Ci mettono le mani in tasca con le multe perché i bilanci dei comuni (tutti, nessuno escluso) sono eternamente in rosso. Non da oggi. Eppure nessuno ha alzato un dito per sollevare il problema e discuterlo in maniera seria senza alzare il tono ed insultare coloro che non sono d’accordo. E’ un vecchio male italiano”.

“Non è vero”, rispondono i contrari. “Il limite di velocità interessa ognuno di noi perché riguarda le vite umane. Nel 2022 sono stati olttre cinquecento i morti per sciagure stradali e l’ottanta per cento dei casi è dovuto all’eccesso di velocità”.

Così, per non saper né leggere, né scrivere, la politica entra di prepotenza nella questione e cerca in tutti i modi di responsabilizzare l’avversario. Avviene su tanti problemi, poteva essere escluso quello che coinvolge una infinità di persone? Nemmeno per sogno. Maggioranza e opposizione non smettono di fare la guerra e, nel frattempo, chi ci va di mezzo sono i cittadini come sempre  dimenticati da coloro che hanno voglia solo di litigare per dimostrare che le loro ragioni sono sacrosante.

E’ proprio quel che sta succedendo da quando il sindaco di Bologna ha deciso con un’ordinanza che la velocità, nelle strade più pericolose, non debba mai superare il limite dei trenta chilometri orari.

Non pensiamo che Matteo Lepore non sapesse le conseguenze che avrebbe potuto avere la sua decisione. Il traffico in ogni città italiana, da Roma a Milano, da Napoli a Torino è un problema che fa imbestialire centinaia di migliaia di persone.

I mezzi pubblici, tranne rarissimi casi, sono insufficienti e allora non c’è alternativa: bisogna usare la propria  macchina. Quindi, stando così le cose, il sindaco di Bologna prima di introdurre una norma “fastidiosa” (eufemismo) non avrebbe potuto agire con maggiore diplomazia, convocare l’intero consiglio comunale per avere l’approvazione di tutti?

I soldi sono un toccasana per le casse di ogni centro italiano, grande e piccolo. A ragion veduta, si dovrebbe trovare un minimo di accordo che metta in sintonia la maggior parte degli italiani, non solo quelli di Bologna.

Se il caso volesse che in futuro la politica in genere potesse trovare una diversa comprensione, così da evitare gli angoli pericolosi di una qualsiasi controversia, si dovrà ringraziare il sindaco di Bologna per aver innestato una polemica di cui nessuno aveva bisogno. Un diverbio che dia a chi ci governa una maggiore responsabilità e una minore voglia di battibeccare su argomenti di facile soluzione.