"Claudio De Scalzi prono di Luigi Bisignani", scrive nella sentenza il Giudice delle indagini preliminari del tribunale di Milano, Giuseppina Barbara. Come e perché? E chi sono costoro, De Scalzi e Bisignani? Personaggi obliqui, titolari di storie da raccontare.
Nel 2011 Eni acquisisce il 100% della licenza di esplorazione del blocco petrolifero Opl 245, nell’Oceano Atlantico, di fronte alla costa orientale della Nigeria. Il 20 settembre del 2013 i legali di tre associazioni presentano alla procura di Milano un esposto su quell’acquisizione.
L’accusa a carico di Eni e Shell è di aver pagato 1,1 miliardi di dollari al governo della Nigeria, nella piena consapevolezza che l’enorme somma di denaro sarebbe finita nelle mani di Dan Etete, che avrebbe poi di fatto assegnato a se stesso, in modo fraudolento, la licenza sul giacimento petrolifero. Il 20 settembre le prime condanne. Il gup, con rito abbreviato, ha inflitto a due intermediari una condanna a quattro anni per corruzione internazionale. Parole dure quelle della giudice Giuseppina Barbara.
"Il management delle società petrolifere Eni e Shell è stato pienamente a conoscenza del fatto che una parte dei 1.092 miliardi di dollari sarebbe stata utilizzata per remunerare i pubblici ufficiali nigeriani". La sentenza sul processo Eni-Nigeria riguarda per il momento due imputati, gli intermediari Emeke Obi e Gianluca Di Nardo, che avevano scelto il rito abbreviato. Necessari sette anni per conoscere i primi verdetti. L’ennesimo paradosso italiano messo in scena da un sistema giudiziario formato lumaca. Le parole pesanti del gup sono destinate a pesare fortemente anche sul processo con rito ordinario in corso per altri tredici imputati. Fanno parte della lista l’attuale amministratore delegato di Eni, De Scalzi, l’ex amministratore delegato Paolo Scaroni e il faccendiere Bisignani.
Il processo in corso presso la settima sezione del tribunale di Milano prende le mosse dalle accuse dei pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro. "Il nostro operato è corretto", argomenta l’azienda Eni. Laddove, secondo pm e giudice, Emeke Obi e Ginaluca Di Nardo avrebbero esercitato un ruolo primario, determinante, in particolare per garantire il ritorno dei soldi agli italiani. "Sarebbe provato - scrive il gup Giuseppina Barbara – al di là di ogni ragionevole dubbio che effettivamente nell’ambito dell’operazione di acquisizione della licenza di prospezione petrolifera Opi 245, alcuni manager del gruppo petrolifero italiano abbiano progettato e verosimilmente realizzato (…) il piano criminoso di incrementare il prezzo pagato da Eni, in modo da ottenere (…) la restituzione in nero di una consistente somma di denaro, nell’ordine di 50 milioni di dollari, da spartirsi tra loro".
I pm sono entrati nel merito anche del rapporto tra Bisignani e De Scalzi. Al faccendiere viene attribuito e riconosciuto un ruolo di mediazione; per l’amministratore delegato l’accusa di quanto egli fosse "prono di fronte alle pretese di Luigi Bisignani, cioè di un privato cittadino il cui nome era già emerso in alcune scottanti inchieste della storia giudiziaria italiana".
Il comportamento fraudolento dei protagonisti viene esteso dal gup Giuseppina Barbara alla necessità da parte dei management di Eni e Shell "di remunerare i pubblici ufficiali nigeriani, che come squali famelici ruotavano intorno alla preda". Accuse in successione pesanti come macigni. Viene configurata l’esistenza non di un rapporto di mera convivenza, "ma adesione consapevole a un progetto predatorio in danno dello stato nigeriano". L’intera procedura di acquisto di Opl 245 presenterebbe specifiche caratteristiche criminose, fin dall’inizio e per l’intera sua durata, "e una impressionante sequenza di anomalie, che per qualità e quantità dei manager coinvolti necessariamente devono essere state avallate dai vertici della società".
Definiti "illeciti" gli accordi spartitori. Il teorema accusatorio del gup è ricco di sottolineature. Come questa: "Tutta la vicenda appare di inaudita gravità per l’entità della somma di denaro utilizzata per corrompere i pubblici ufficiali nigeriani (…), per il danno cagionato allo Stato nigeriano, di cui sono stati corrotti i vertici e che è stato depredato di uno dei suoi beni di maggior valore". Viene ritenuto inoltre un fatto ancora più grave "il coinvolgimento della principale società italiana, di cui lo Stato è il maggiore azionista, con un danno d’immagine all’intera collettività nazionale".
Eni non va al contrattacco, privilegiando la difesa condita con la sua di verità. Ribadisce la correttezza del proprio operato nell’acquisizione di Opl 245 in Nigeria. E di aver trattato e concluso l’operazione direttamente con il governo nigeriano. Sembra però incredibile che vi siano esagerazioni e invenzioni nel castello accusatorio di pm e gup. È impossibile che si siano inventati anche l’intervento dell’opaco Bisignani. Non resta che attendere la seconda sentenza nel processo Eni-Nigeria. La prima ha detto già molto: facile prevedere che possa essere propedeutica a nuove e più pesanti condanne.