di MARIO PICCIRILLO
ROMA – Li chiamano “superbatteri”. E ogni anno “uccidono più persone dell’HIV, della malaria e della tubercolosi messe insieme”, dice il professor Ramanan Laxminarayan dell’Università di Princeton, negli Stati Uniti. Un allarme mondiale terribilmente sottovalutato: la resistenza antimicrobica, con l’evoluzione di batteri resistenti ai farmaci, ci ha fatto tornare indietro nel progresso medico. Infezioni un tempo banali si rivelano oggi fatali, e procedure cruciali della medicina moderna – dai tagli cesarei ai trattamenti contro il cancro e ai trapianti di organi – stanno diventando troppo rischiose.
Secondo dati del 2019, circa 4,95 milioni di decessi sono associati alla resistenza antimicrobica batterica, 1,27 milioni direttamente causati da tale resistenza causata soprattutto dall’uso inappropriato ed eccessivo di antibiotici. La prospettiva è un futuro in cui la medicina moderna fallisce.
In Africa soprattutto, calcolano gli esperti, ogni anno 750.000 decessi legati a superbatteri resistenti ai farmaci potrebbero essere prevenuti con un migliore accesso all’acqua pulita e ai servizi igienico-sanitari, al controllo delle infezioni e alle vaccinazioni infantili.
“Le persone manifestano sintomi… non riescono a distinguere se si tratta di virus o batteri e, per sicurezza, prendono l’antibiotico. E così creano resistenza ai farmaci”, dice Laxminarayan, sottolineando che l’influenza è stata il principale fattore di consumo di antibiotici nel mondo.
Lo studio, pubblicato su Lancet, fa parte di una serie sulla resistenza antimicrobica che comprende la proposta di obiettivi globali denominati “10-20-30 entro il 2030”. Questi si riferiscono a una riduzione del 10% della mortalità dovuta alla resistenza antimicrobica rispetto al 2019, una riduzione del 20% dell’uso inappropriato di antibiotici nell’uomo e una riduzione del 30% dell’uso inappropriato di antibiotici negli animali.