di GIOVANNI PIZZO
Far West America. Non c’è alcun dubbio che, comunque vada a finire la campagna elettorale americana a novembre, non andrà tutto bene. Il clima inferocito, pieno di odio sociale, ci presenta un paese quasi sull’orlo della guerra civile, distopicamente anticipata i dal film Civil War in concorso agli Oscar di quest’anno, che da queste parti non è una teoria, ma si è combattuta sanguinosamente 160 anni fa.
Alimentare odio, riempire i social di appelli al linciaggio di giudici e giurati, è altamente pericoloso ed incendiario in un Paese in cui chiunque ha almeno un’arma da fuoco e molti dispongono arsenali di mitragliatori ed armi automatiche.
Secoli di illuminismo, Ivy league, think thank, non hanno scalfito l’anima di un paese di frontiera in cui si pensa, non solo intimamente, che alla legge della Corte si può ovviare con quella della Colt. Il declino dell’impero americano, fotografato nella pulsione edonistica del film del 1986 di Denys Arcand, proviene dal secolo scorso, ed è un declino intellettuale, che è reso evidente dalla crisi delle università americane.
Non hanno retto la sfida di sintetizzare un umanesimo con l’integrazione, creando un pensiero nuovo. Hanno scelto la cancel culture ed il finto polically correct. Non c’è stato più il coraggio di elaborare un pensiero per la quarta Roma, se non un imperialismo da apprendisti stregoni.
Trump, il politicamente scorretto, il campione dell’America bianca profonda del Midwest, è un fazioso come pochi, ma le ragioni di quella fetta di popolazione sono forti e radicate e non si risolvono ignorandole, non bastano solo le ricette liberiste che ormai sposano tutti, anche i cinesi. Solo che loro sono più autarchici e ricchi, e stanno vincendo la sfida del capitalismo selvaggio della globalizzazione.
Basta una scintilla, un lupo solitario che impugni un’arma per mettere a fuoco la più grande ex democrazia occidentale. Oggi è una demopazzia.