di DANIELE MASTROGIACONO

Passa al Senato la contrastata legge che punta a smantellare lo Stato, deregolamentare l’economia e affidare il potere legislativo nelle mani del presidente. L’Argentina vive una giornata storica tra l’emiciclo dove si consuma una trattativa incerta fino all’ultimo e gli scontri violentissimi all’esterno tra la polizia in assetto antisommossa e decine di migliaia di manifestanti che protestano contro la fine dell’assetto istituzionale.

Javier Milei supera quello che veniva chiamato il D-day, il giorno in cui si sarebbe deciso il destino del suo governo, con l’aiuto di un solo voto che consente al Senato di superare lo stallo in cui si trovava. Dopo 13 ore di dibattiti e trattative frenetiche con i centristi e la destra moderata di Mauricio Macri, il muro di 36 voti favorevoli contro i 36 contrari si è infranto grazie a quello decisivo della vicepresidente Victoria Villaruel. La parlamentare ha esultato, alzando le braccia al cielo, quando sul tabellone è apparso il risultato. Il presidente anarco-capitalista, chiuso nel suo ufficio alla Casa Rosada, è esploso con un urlo liberatorio.

Chiamata Legge Base per i suoi 664 articoli – in parte già cancellati - che spaziano dall’economia, al lavoro, all’assetto dello Stato, la norma ha subito una serie di variazioni che ne riducono la portata. Resta intatto l’impianto generale. Lo Stato va smantellato dalle sue fondamenta ma non tutta l’attività economica e produttiva passerà nelle mani dei privati.

Mentre il dibattito proseguiva nel Senato, all’esterno, per strada, la tensione è esplosa con duri scontri tra polizia e manifestanti. Ci sono state cariche, lanci di gas lacrimogeni e proiettili di gomma. La folla accorsa per vigilare su questo momento decisivo sul futuro del paese ha usato con sassi, bastoni e molotov. I primi incendi hanno punteggiato diversi quartieri di Buenos Aires con una guerriglia che si è protratta fino a notte fonda.

Gli echi della battaglia sono giunti anche all’interno del palazzo. E’ stato chiesto un intervento più drastico delle forze dell’ordine, subito accolto con altre cariche e manganellate. Ci sono stati almeno 30 arresti e decine di feriti, tra i quali anche deputati dell’opposizione che avevano aderito alla mobilitazione indetta dalla sinistra e dai sindacati.

Alla fine, il disegno di legge è passato e il presidente Milei lo ha voluto festeggiare con l’enfasi che gli è congeniale: “Dopo l’attacco dei gruppi terroristici al Congresso e la necessità di schierare forze di sicurezza in difesa della democrazia – si legge nel suo comunicato – stasera festeggiamo un trionfo per il popolo argentino e il primo passo per il recupero della nostra grandezza. Abbiamo approvato la riforma legislativa più ambiziosa degli ultimi 40 anni”.

Non è stato facile. Ci sono state lunghe discussioni per convincere i più riottosi a un provvedimento che stravolge l’architrave istituzionale e modifica l’economia, la produzione, le regole sul lavoro, affida il potere legislativo nelle esclusive mani del presidente. La conta dei voti indicava una sostanziale parità. Le forze della coalizione di governo non garantivano la maggioranza. Occorreva il consenso dei centristi, quelli aperti al dialogo, e persino dell’ala peronista contraria alla sinistra di Cristina de Kirchner.

L’asse della destra di Mauricio Macri e quella governativa di estrema destra hanno dovuto cedere su alcuni articoli. E’ stata ridotta a 8 la lista delle 40 aziende statali da privatizzare: Aerolineas Argentinas, Correo Argentino e il conglomerato Radio y Televisión restano pubbliche. Respinta anche la riforma delle pensioni; prevedeva, tra le altre cose, di eliminare la moratoria che consente alle persone, le donne soprattutto, di uscire dal lavoro senza l’importo dei contributi salariali previsti per legge. Restano in piedi le opere pubbliche avanzate o sorrette da finanziamenti internazionali. Milei è riuscito a congelare ogni spesa per quelle strutturali. La svolta è arrivata quando si è affrontato il tema più rilevante: dove applicare il Regime di Incentivazione dei Grandi Investimenti. Un regime che elimina imposte, dazi doganali e introduce incentivi per lavori che possono attrarre investitori stranieri. Anche qui è stata limata la lista dei settori nei quali saranno applicate le misure. Milei non ha avuto scelta. Un’altra bocciatura al provvedimento, dopo mesi di discussione e l’affondo completo della Camera nel febbraio scorso, sarebbe stato un colpo difficile da superare. Il presidente si giocava tutto. Persino la sua sopravvivenza. Ha dovuto mediare, decurtare, cedere. Ma ha incassato una vittoria. La sua vittoria.

Parte per il G7 in Puglia carico di orgoglio. La Legge Base adesso deve tornare alla Camera per essere approvata definitivamente nelle sue variazioni.