di  Mirella Armiero

«Dire no all’estate dei cafoni? Certo, sono d’accordo con il sindaco di Anacapri. La parola tra l’altro ha un’accezione diversa dal passato, cafone è quello che non rispetta le regole e tanto meno l’isola. È chiassoso, ostenta ricchezza con arroganza».
Renato Esposito è uno dei grandi conoscitori e amatori di Capri, dove è nato e vive. Ricorda bene il passato prossimo dell’isola, fatto di cultura ed eleganza. Albergatore, scrittore e ricercatore, Esposito si occupa anche dell’albergo di famiglia, il Gatto Bianco, nato in piena epoca Dolce Vita. All’inaugurazione c’erano Cerio e Neruda, nel night dell’hotel si esibiva un giovanissimo Peppino Di Capri. Altri tempi, ora anche il Gatto Bianco è pieno di stranieri. Mentre conversiamo nell’ombroso giardino, una bambina dagli occhi orientali gioca con un gattino. «Tantissimi vengono da Taiwan», spiega Esposito. Fa parte anche questo della trasformazione dell’isola, oggi sotto assedio, meta sempre più griffata da overtourism di alto bordo. A controbilanciare questa tendenza, Renato Esposito – fratello di Riccardo, con Ausilia Veneruso editori della Conchiglia – organizza da tempo passeggiate alla ricerca del genius loci più autentico. E di quella che definisce «capritudine», su cui ha scritto anche un libro.

Esposito, che cosa significa questo termine? Lo ha inventato lei?
«Sì e l’ho anche depositato. A Capri non si sa mai, potrei trovarmelo su un portachiavi o come nome di un vino... Cosa significa? È una melanconia gioiosa, una forma di dipendenza: molte persone non possono fare a meno di Capri. Durante il Covid gli stranieri mi rivelavano che non riuscivano a stare lontani. È la sensazione di chi ha provato la felicità per la prima volta qui. Quando Goffredo Parise stava molto male e non riusciva più a venire, La Capria gli diceva che non si perdeva nulla, che il mare era sporco, l’isola affollata... per non farlo dispiacere troppo».

 

Nelle passeggiate che organizza da anni si va quindi alla ricerca della «capritudine»?
«In un certo senso sì. Le passeggiate sono nate da una precisa esigenza. Mi ero accorta che alcuni ospiti, ma anche molti capresi, non conoscevano affatto l’isola: quindi pensai di portare le persone a parlare con le pietre. Sartre diceva che a Capri le pietre parlano, ma devi saperle ascoltare. Del resto qui ci sono tante stratificazioni storiche: dall’epoca romana a quella angioina, aragonese e così via. Si pensa spesso solo alla patria del by night, della Dolce Vita. Invece Capri nasce con i libri, con le avanguardie che la scoprono, con autori di tutte le parti del mondo. La bibliografia tedesca su Capri è il doppio di quella italiana».

C’è ancora oggi una Capri da scoprire?
«Io sono arrivato qui passando da Tuoro, solo cinquanta metri sopra via Camerelle, e non c’era nessuno. L’altro giorno sono salito all’Arco naturale: ho visto solo due turisti. Le persone si ammassano in piazzetta e invece c’è tanto altro».

A Capri ma anche ad Anacapri?
«Certo, e bisogna smetterla con questa contrapposizione. La differenza tra Capri e Anacapri è un gioco che si ripropone almeno da 30 anni. Diciamo che Anacapri non ha subito la griffizzazione degli anni ‘80 come Capri, ha resistito. Poi c’è anche da dire che Anacapri ha sofferto sempre della sindrome del sorpasso. Ma è un bene? Dove ci porta la corsa?».

È sempre stata considerata la parte più intellettuale...
«Ricordo quella sorta di cenacolo olimpico che era Gradola ai tempi di Giovanni Tessitore, il pittore che gestiva il lido. Ci andavano Zincone, Velardi, D’Alema, Durante...».

Una fisionomia sempre più rara a Capri?
«In un certo senso sì, sono cambiati i tempi. Ma comunque sono ottimista».

Sul futuro dell’isola?
«Sì, ma a patto di fare scelte non legate al guadagno, piuttosto pensando alle nuove generazioni, con una visione. Capri è un’isola fragile, non appartiene solo all’Italia ma al mondo. Certo, non sono i più i tempi di Krupp che comprava un costone di roccia...».

Sono i tempi di overtourism, invece.
«Sì e questo riguarda sia Capri che Anacapri: salire da giù a su negli orari di punta è impossibile, le file agli autobus sono interminabili. Trovare case in affitto per i residenti è diventato poi impossibile. Sono problemi che la politica deve affrontare. La proposta che feci al sindaco Lembo, che ora avanzerò anche a Falco, è di regolamentare l’afflusso dei crocieristi. Bisognerebbe consorziarsi con Venezia e porre un limite agli sbarchi di questa categoria. Ci vuole il numero chiuso almeno per i crocieristi, parliamo di sbarchi di 4000-5000 persone. L’isola non può sopportarlo e la Campania offre tanto altro».

D’accordo anche con la proposta di Cerrotta di posizionare un cordone di boe davanti alla Grotta Azzurra?
«Assolutamente sì, in attesa dell’area marina protetta».

Il suo gruppo facebook «Capri isola magica» ha un certo successo.
«Siamo a 32mila iscritti! Volevo smettere ma in realtà mi chiedono di continuare. Ogni giorno all’alba pubblico un post con un quadro su Capri. Mi seguono anche dall’America. Questa piccola isola è tra le più conosciute al mondo. E Monika Mann, che visse 30 anni qui, diceva che Capri ha tante isole nell’isola. È proprio vero».

A proposito di illustri presenze, a Capri c’è stata una «colonia russa». Oggi ce n’è memoria?
«Capri è uno dei pochi luoghi dove c’è un monumento a Lenin. Lui venne qui da Gorkij, com’è noto. E per addolcirlo Gorkij lo invitò a giocare a scacchi, preparandosi a farlo vincere. Quella scacchiera è appartenuta a mio nonno e mio fratello e io ci giocavamo da piccoli. Negli anni Settanta un giorno bussarono alla porta: era l’ambasciatore russo insieme a Karpov, il campione di scacchi, che iniziò ad accarezzare i singoli pezzi. L’ambasciatore chiese a mio padre se voleva donare la scacchiera, ma mio padre disse di no. Quella scacchiera la custodiamo ancora noi».