Realizzare oltre 11 miliardi di dollari di utile e non pagare nemmeno un centesimo di tasse, incassando anzi anche un centinaio di milioni come bonus e avere, così, un’aliquota fiscale negativa. E’ il sogno di qualsiasi cittadino e di ogni imprenditore. Il sogno realizzato dall’uomo più ricco del mondo, Jeff Bezos, patron di Amazon, grazie alla riforma fiscale targata Donald Trump.
Mentre il vulcanico presidente americano si auto-candida al premio Nobel per la Pace per il suo ruolo nella denuclearizzazione della penisola coreana incassando, quasi subito, l’appoggio del premier nipponico Shinzo Abe, dagli Stati Uniti arriva una notizia che per i comuni contribuenti ha dell’incredibile: l’esistenza dell’aliquota negativa, praticamente il Santo Graal del fisco. La possibilità cioè per qualcuno non solo di non pagare tasse su quel che guadagna ma, anzi, incassare anche un extra dallo Stato. Ovviamente Amazon, la compagnia in grado di consegnare praticamente qualsiasi cosa in ogni parte del mondo, non è un ‘normale contribuente’, e il paragone con le tasse pagate da un lavoratore dipendente sarebbe ingeneroso oltre che inesatto. Ed anche vero, almeno ad una prima analisi, che la compagnia di Bezos ha rispettato tutte le leggi americane e dei Paesi dove opera e che quindi il suo bonus e la sua di fatto esenzione fiscale sono legittime. Nonostante questo però il paradosso è clamoroso tanto che, a segnalarlo, è persino quel Washington Post che proprio Bezos ha comprato e rilanciato.
E il paradosso è che nel 2018 il colosso dell’e-commerce ha fatto registrare 11.2 miliardi di dollari di utile ma, invece di pagare su questa cifra una fetta di tasse federali, ha incassato dallo Stato americano un credito di 129 milioni di dollari. Avendo così, di fatto, un’aliquota fiscale del -1% quando, i circa 20 milioni di americani più poveri, pagano comunque sui loro redditi l’1.5%.
A fare i conti ci ha pensato l’Institute on Taxation and Economic Policy, il think tank progressista che analizza le politiche fiscali negli Stati Uniti. Conti che non accusano il colosso di Bezos, che ha appunto operato legalmente, ma che fa luce sulle storture della riforma delle tasse di Donald Trump. Paradossalmente uno dei maggiori critici di Amazon. La riforma varata dal presidente americano nel 2017 infatti non solo ha abbassato le tasse sulle aziende dal 35% al 21%, per rilanciare l’economia spiegò Trump, ma ha anche lascito aperte quelle “scappatoie che consentono alla società redditizie di evitare il pagamento delle tasse federali e statali sul reddito su quasi la metà dei loro profitti”, come spiega il think tank. A questo si sono poi aggiunti i crediti di imposta ricevuti da Amazon nel 2017 e nel 2018 per gli acquisti di apparecchiature e per la ricerca e lo sviluppo ed ecco come si è arrivati a quel -1%.
Legale o no resta la disparità per cui qualcuno, di solito i più ricchi, riescono a pagare molte meno tasse in proporzione rispetto ad altri e talvolta persino ad azzerarle. Una pratica accentuata dalle riforme fatte dal presidente americano. Ma la legalità della cosa non risponde all’interrogativo se questo sia giusto, e la Storia insegna che la polarizzazione della ricchezza non è un bene né per la democrazia né per la società in genere.