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di CLAUDIA MONTANARI

Un recente studio potrebbe aprire nuove strade nella lotta all’Alzheimer, suggerendo che un farmaco antitumorale già in uso per altre patologie potrebbe essere efficace nel trattamento dell’Alzheimer precoce. Questo studio, condotto su un modello murino, ha mostrato risultati promettenti nel ripristino delle funzioni cognitive.

L’Alzheimer è caratterizzato da un progressivo declino delle funzioni cognitive, in particolare della memoria e dell’apprendimento, causato dalla degenerazione dei neuroni nel cervello. La malattia è strettamente associata all’accumulo di proteine tossiche, come la beta amiloide e la tau, che interferiscono con il funzionamento normale delle cellule cerebrali. Inoltre, è noto da tempo che il metabolismo del glucosio, essenziale per il funzionamento energetico del cervello, viene compromesso durante il processo di invecchiamento e in presenza di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer.

Il nuovo studio

Il nuovo studio, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS)si è concentrato su un enzima specificol’indolammina-2,3-diossigenasi 1 (IDO1), che regola il metabolismo del glucosio nel cervello. I ricercatori hanno scoperto che l’inibizione di questo enzima potrebbe contrastare i deficit metabolici associati all’Alzheimer, aprendo la strada a potenziali nuove terapie. Il team ha utilizzato un farmaco immunoterapico antitumorale, noto come PF068, per bloccare l’attività dell’IDO1 in un modello murino di Alzheimer. I risultati sono stati sorprendenti: il trattamento non solo ha migliorato la funzione cognitiva nei topi, ma ha anche ripristinato la normale attività metabolica nell’ippocampo, una regione del cervello cruciale per la memoria.

L’ippocampo è una delle prime aree del cervello a essere colpita dall’Alzheimer, con conseguente perdita di memoria e difficoltà nell’apprendimento. Il metabolismo del glucosio in questa regione è essenziale per il mantenimento delle funzioni cognitive, ma viene gravemente compromesso dalla presenza di beta amiloide e tau. L’enzima IDO1, che gioca un ruolo chiave nella conversione del triptofano in chinurenina, è stato identificato come un regolatore critico di questo processo. Gli astrociti, cellule gliali che supportano i neuroni, sono particolarmente influenzati dall’attività dell’IDO1, e il suo blocco ha dimostrato di ripristinare la produzione di energia in queste cellule.

Alzheimer e farmaco antitumorale, come agisce

Il farmaco PF068, sviluppato originariamente per trattare vari tipi di cancro come melanoma, leucemia e cancro al seno, è stato testato in questo contesto con risultati incoraggianti. Quando somministrato ai topi affetti da Alzheimer, il farmaco ha portato a un significativo miglioramento della memoria, misurato attraverso test comportamentali. Questo risultato suggerisce che il farmaco potrebbe avere un potenziale terapeutico non solo per le malattie oncologiche, ma anche per le patologie neurodegenerative.

Il meccanismo attraverso il quale PF068 esercita i suoi effetti benefici sembra essere legato alla sua capacità di interrompere il percorso metabolico mediato dall’IDO1riducendo così i livelli di chinurenina e ripristinando la normale glicolisi negli astrociti. Questo processo è fondamentale per garantire che i neuroni ricevano il giusto apporto energetico, permettendo loro di funzionare correttamente. Inoltre, ulteriori esperimenti condotti su tessuti cerebrali umani hanno confermato che l’aumento di chinurenina è associato a un peggioramento dei sintomi cognitivi nei pazienti con Alzheimer, rafforzando l’ipotesi che l’inibizione dell’IDO1 potrebbe avere effetti terapeutici significativi.

Un aspetto particolarmente interessante dello studio è la possibilità di riutilizzare farmaci esistenti, come PF068, per il trattamento dell’Alzheimer. Questo approccio potrebbe accelerare il processo di sviluppo di nuove terapie, riducendo i tempi e i costi associati alla ricerca di nuovi farmaci. Inoltre, poiché PF068 è già in fase di sviluppo avanzato per il trattamento del cancro, i ricercatori sperano che questi risultati possano portare a sperimentazioni cliniche più rapide per valutare la sua efficacia nel trattamento dell’Alzheimer.

L’attenzione al metabolismo del glucosio

Il metabolismo del glucosio è da tempo considerato un obiettivo terapeutico promettente per varie malattie neurodegenerative. Alterazioni in questo processo sono state osservate non solo nell’Alzheimer, ma anche in altre patologie come il Parkinson, la sclerosi multipla e l’Huntington. Questo suggerisce che interventi mirati a migliorare il metabolismo del glucosio potrebbero avere benefici più ampi, oltre a quelli specifici per l’Alzheimer. Ad esempio, farmaci come la metformina, comunemente usata per il trattamento del diabete, e le diete chetogeniche, che migliorano l’efficienza energetica del cervello, sono già oggetto di studi clinici per il loro potenziale ruolo nel trattamento di queste malattie.

Nonostante i risultati promettenti, è importante sottolineare che la strada verso una cura per l’Alzheimer è ancora lunga e complessa. Gli studi condotti finora sono stati realizzati su modelli murini, e sarà necessario verificare l’efficacia di questi trattamenti negli esseri umani attraverso sperimentazioni cliniche rigorose. Tuttavia, le scoperte fatte in questo studio rappresentano un passo avanti significativo nella comprensione dei meccanismi alla base dell’Alzheimer e aprono nuove possibilità per lo sviluppo di terapie efficaci.