Mega crac da quattro miliardi. Il più grande fallimento in Italia dopo quello della Parmalat. Quattro miliardi contro gli inarrivabili quattordici di Calisto Tanzi. Il crollo di un impero messo in piedi a suon di truffe. Tubi di rame, energia, cappelli Borsalino, paradisi fiscali: una ragnatela di 190 società sparse in tutto il mondo. La rete di Marco Marenco, il piccolo imprenditore piemontese, dell’Astigiano, proprietario anche dell’azienda dei cappelli di lusso Borsalino. Partito dall’Europa alla conquista del mercato estero dell’energia, è accusato ora di aver messo in piedi il fallimento del secolo. L’impero nasce sull’omonima srl che costruiva tubi in rame per uso energetico e grondaie.
Speia, Serviem Exergia sono alcune delle decine di società dell’ineffabile Marenco: facevano trading senza pagare tasse accise. I cappelli rappresentano l’investimento che ha dato al grande truffatore maggiore notorietà. Marenco acquistò la Borsalino all’alba degli anni 2000, ne uscì nel 2008. In codice li chiamavano “i pelati”. Due uomini dei servizi segreti che si occupavano a tempo pieno della sicurezza di Marco Marengo. Oggi li definiremmo bodyguard. I “pelati” avevano la facoltà di poter accedere ai sistemi informatici del Ministero dell’Interno. Al servizio esclusivo della persona, sempre al fianco del piccolo imprenditore che viveva e si comportava da grandissimo, un ex agente dei servizi segreti. Fungeva anche da reclutatore. Ma di che, di cosa? Ingaggiava persone ritenute più adatte per garantire la sicurezza personale del capo Marenco e della sua compagnia.
Un finanziere, tre poliziotti bresciani e un ex consigliere comunale della Lega a Brescia: la squadra. La compagnia Marenco era sempre al sicuro. Anche quando soggiornavano allo splendido Sylvia Luxory Resort di St. Tropez. Meravigliosa struttura acquistata dal lestofante distraendo denaro dalle società del gruppo, tutte indebitate con le banche, con la Snam, con l’erario. Loro quei soldi non li hanno più visti. Secondo le ipotesi investigative, il team security avrebbe operato alla grande nel malaffare delle “intimidazioni&pressioni”, non solo negli accessi al database del ministero dell’Interno. Nelle carte giudiziarie si legge che la retribuzione della squadra si aggirava intorno a 700mila euro all’anno. I nomi delle persone implicate nel dissesto da quattro miliardi? L’ex agente dei servizi Vanni Pagati, Lorenzo Zoin e Giannetto Zotto; i poliziotti Alessandro Bizzarro, ex consigliere comunale della Lega e Tommaso Gentile della Guardia di Finanza di Roma. Tutti indagati per concorso in corruzione per aver compiuto atti contrari ai doveri d’ufficio. Luigi Antonio Cappelli, colonnello della Guardia di Finanza oggi in pensione, è accusato di favoreggiamento. Avrebbe interceduto nelle indagini contattando i colleghi titolari, dopo aver minimizzato i fatti come “accise non pagate e cazzate”.
Una spy story di quelle grandiose, lungo il percorso che collega il mercato tra Italia e Ucraina. Il crac tocca centonovanta società nel mondo, tutte riconducibili al gruppo Marenco. E ha visto andare in fumo appunto quattro miliardi di euro, tra il 2000 e il 2015. I finanzieri sono riusciti finora a trovare e sequestrare una villa a Campione d’Italia, un resort in Costa Azzurra, a pochi chilometri da St. Tropez, un castello ad Asti, alberghi in Grecia. E denaro, pacchetti di titoli azionari: in totale 107 milioni di euro su una distrazione calcolata di 1.130 milioni. Cinquantuno persone -tra familiari amministratori prestanomi e sindaci- sono accusate di reati tributari, truffe, appropriazioni indebite, false comunicazioni sociali, bancarotta fraudolenta aggravata. Titolare in partenza, ad Asti, di una piccola azienda di famiglia, Marco Marenco andrebbe definito tranquillamente persona geniale, a suo modo.
Un genio del male. Titolare di un’intuizione che gli ha permesso la costruzione di un impero, in pochi anni. Quelle tubazioni sotto terra per la distribuzione del gas in Piemonte e in Liguria. La privatizzazione del mercato dell’energia, l’assalto ai grandi gruppi. Genio perverso con una sua tecnica. Una sua tattica, la strategia con tanto di copyright personale truffaldino. Comprare e non pagare, tutto qui il perfido arcano. Marenco compra e non paga partite a sei zero di gas metano. Possiede due centrali idroelettriche, effettua continue operazioni infragruppo per portare all’estero somme di denaro attraverso compravendite fittizie, distrae milioni di euro. Normale, conseguente, che alla fine dodici società vadano in bancarotta. Il punto di partenza della complicata indagine tra le Isole Vergini, Cipro, Panama, Liechtenstein, Lussemburgo, Panama. Latitante in Svizzera per alcuni mesi, l’ineffabile Marenco viene catturato nel 2015 a Lugano. Oggi, a sessantacinque anni, è un signore in attesa dell’accoglimento, da parte del tribunale di Asti, della richiesta di scontare ai servizi sociali il patteggiamento a cinque anni che il pm gli ha accordato nel 2016.
“Vorrebbe lavorare in un maglificio della zona”, comunica il suo avvocato. Un personaggio sopra le righe, il truffatore seriale Marco Marenco. Gli investigatori raccontano di non averne sentito mai la voce prima dell’arresto. Sospettato di mille nefandezze, è stato per anni intercettato. Allora? Marenco ha avuto sempre l’accortezza di comunicare solo con telefonini criptati “nero” modello Enigma T301TR. In dotazione e in uso ai servizi segreti. Capito a cosa ricorreva il geniaccio per fregare il mondo senza essere ascoltato? Ma alla lunga è rimasto fregato lui, anche se probabilmente da ricco sfondato con gli averi sotto sequestro.
Franco Esposito