Nella vulgata popolare quando si parla del tempo e delle storie passati, con spirito ottimista, si è portati a riconoscergli una logica tautologica: "Il tempo è un galantuomo, rimette a posto tutte le cose". Questo concetto positivo, purtroppo, sembra non convenire con quanto successo nella prima metà del secolo scorso durante l’epoca dei regimi nazista e fascista. La cesura con quelle idee nel mondo occidentale non è mai stata netta e radicale. Anzi, come un fiume carsico quel pensiero genera epigoni e riemerge in particolare quando le istituzioni si flettono, abdicano al malcelato populismo e si indeboliscono, come sta avvenendo nei paesi, che hanno vissuto tragicamente quegli anni e subito quelle nefaste tragedie. Sono riprese l’intolleranza nei confronti delle vittime dell’antisemitismo, le forme di odio razziale surrogate dal negazionismo, che si nutrono di un fecondo proselitismo politico imbastito sul rifiuto verso le nuove migrazioni e il diverso, sulla sicurezza e sulla proposta dell’uomo forte al comando.
Diceva Voltaire "le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle". Quindi, la lotta contro il razzismo e la xenofobia costituiscono le fondamenta dei diritti umani sulle quali vanno erette le colonne portanti della tolleranza e della dignità, per definire e costruire una società libera e democratica. Oggi si dovrebbe tenere alta la guardia sugli eccessi e malversazioni ideologiche, e evitare l’indifferenza e la sottovalutazione del "wiedergeburt", la rinascita, dell’odio sociale, culturale e politico che alimenta mostri. Sono trascorsi 75 anni dal 27 gennaio 1945, quando i soldati dell’armata rossa entrarono nel campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia, e liberarono gli internati, detenuti ingiustamente per il solo motivo di appartenere ad altre religioni, ritenuti di razza inferiore e quindi deportati allo sterminio. Fra il 1940 e il 1945 nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau i nazisti assassinarono più di un milione di persone.
Nel 2005 l’assemblea generale dell’ONU ha dichiarato il 27 gennaio "giornata internazionale in memoria delle vittime dell’Olocausto". La modernità senza i riferimenti storici rischia di perdersi in sentieri inesplorati e ad alto rischio per la sicurezza, la socialità e la democrazia. Le esperienze vissute le vengono in soccorso per costruire gli anticorpi contro gli eccessi e le "malefatte" dell’uomo. Il dovere civico ci sollecita a mantenere viva la memoria sull’olocausto, su uno dei periodi più oscuri vissuti dall’umanità, affinché quelle tragedie non si ripetano mai più; come diceva ancora Voltaire "più gli uomini saranno illuminati e più saranno liberi".
L’informazione, lo studio nelle scuole e gli esempi di persone impegnate possono costituire un deterrente contro la disinformazione; la prevenzione e l’educazione ci vengono in aiuto sublimando il senso della solidarietà e della libertà per contrastare coloro che riescono a far credere delle assurdità, possono far commettere delle atrocità. La giornata della memoria delle vittime dell’olocausto deve far riflettere sui problemi del nostro tempo, in un periodo storico in cui la regola aurea tende a "vivere senza problemi nell’individualismo e nell’indifferenza", che la senatrice a vita Liliana Segre, superstite dell’Olocausto, in questi giorni ha definito "… essere la chiave per comprendere la ragione del male, perché quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore. L’indifferente è complice. Complice dei misfatti peggiori".
L’alternativa all’individualismo e all’indifferenza come diceva Don Milani è, "I Care", me ne importa, mi sta a cuore. È il contrario del motto fascista "me ne frego". Quanto è avvenuto nella tragedia della Shoah è successo nell’indifferenza di molti e con il sacrificio e la solidarietà dei pochi e coraggiosi, resta un monito per conoscere e capire il senso della vita, la bontà e il degrado più infido dell’orrore umano che scese nelle viscere dell’inferno.
MICHELE SCHIAVONE
SEGRETARIO GENERALE CGIE