L’Italia è il paese dei mille campanili. Sembrerebbe un luogo comune ma non è semplicemente così. Esistono città popolose, ricche di storia, di cultura, di tradizioni produttive e manifatturiere; comunità che valorizzano, producono ed esportano prodotti e servizi sui mercati internazionali. Eppure, nella narrazione del nostro paese, le medie città di provincia sembrano essere scomparse: si parla quasi sempre delle grandi metropoli e solo a volte dei borghi. Si sottolinea la frattura tra ‘centro’ e ‘periferia’, tra inclusi ed esclusi dalla globalizzazione e, soprattutto, dall’accesso ai servizi pubblici essenziali, dai trasporti alle biblioteche, dal verde pubblico alle scuole. Le smagliature tra metropoli e borghi, sia chiaro, esistono e sono conclamate. Ci sono cittadini che hanno bisogno, ad esempio, di percorrere 40 minuti in automobile per recarsi nel cinema a loro più vicino o per visitare un luogo di cultura. Ci sono dunque milioni di persone che di fatto non hanno accesso alle stesse opportunità di socialità e accesso alla cultura che invece, per chi vive in città, sono considerate quasi ovvie. Troppe volte queste smagliature sono presenti all’interno delle stesse metropoli. Anne Hidalgo, la sindaca di Parigi, ha lanciato una proposta molto forte dal punto di vista simbolico in occasione dell’apertura della sua campagna elettorale per la riconferma: far sì che ogni suo concittadino possa accedere a qualsiasi servizio pubblico essenziale senza dover fare più di 15 minuti di strada a piedi o in bicicletta. Dentro questa proposta c’è un’importante consapevolezza: l’esclusione sociale si riduce avvicinando il centro alle periferie, e non provando a forzare il processo opposto. Le città italiane, si dirà, hanno problemi molto maggiori di Parigi. Un’idea potrebbe però essere quella di rafforzare e rendere sempre più vivibili quell’Italia mediana, né troppo piccola né troppo grande, che oltre a scomparire dalle mappe del discorso pubblico potrebbe anche essere ulteriormente desertificata dalla forza attrattiva delle grandi città, oltre che dallo sbilanciamento delle risorse proprio in direzione delle grandi metropoli. È a mio avviso prezioso, dunque, lo stimolo che proviene da un volume presentato qualche giorno, "L’Italia policentrica - il fermento delle città intermedie", in cui si racconta ciò che accade in 161 comuni italiani di medie dimensioni, cosa si sta facendo per preservare la propria vitalità e di cosa ci sarebbe bisogno per crescere ancora. Da un lato queste città esprimono eccellenze diffuse: produzioni settoriali, università di buon livello, valorizzazione dell’artigianato e delle imprese manifatturiere, offerta turistica di qualità, beni culturali straordinari, associazionismo e collaborazione virtuosa tra pubblico e privato. Dall’altro si scontrano (e non è certo una sorpresa) con conflitti istituzionali, lungaggini burocratiche, riduzione del personale degli enti locali. I protagonisti delle città intermedie, però, stanno cominciando a reagire al rischio di un processo di ‘inerzia e disattenzione del suo processo di sviluppo’, come definito da Giuseppe De Rita (Censis) durante la presentazione del volume. Il sito Che Fare racconta, tra le altre cose, la nascita di processi di co-progettazione e di co-creazione degli spazi pubblici, spesso figli di un ritrovato rapporto (forse anche un po’ figlio del reciproco bisogno di riconoscimento) tra Enti Comuni e realtà associative. Io sono figlio di una città ‘media’ e ‘policentrica’: Lecce, che insieme ad altri comuni pugliesi come Brindisi e Taranto sta provando a percorrere questa via per ridefinire la propria identità e, in alcuni casi, per cercare un riscatto che lo Stato centrale non è stato in grado di garantire loro. La ricetta è proprio quella indicata nel volume: mobilità dolce e sostenibile, innovazione sociale, centralità del verde pubblico (e del mare, nel caso dei tre comuni pugliesi), recupero dei luoghi della cultura rimasti in stato di abbandono per troppo tempo. L’Italia dei mille campanili può essere molto più di una cartolina e può rappresentare una grande leva di riscatto sociale, un antidoto contro l’emigrazione di massa, una strada per generare finalmente benessere diffuso e meno diseguaglianze. Sarà fondamentale restare in ascolto di queste comunità, supportarle: tutti, a partire dalle istituzioni centrali, potrebbero trarne insegnamenti molto preziosi.

MASSIMO BRAY, DIRETTORE GENERALE DELLA TRECCANI