Nella scorsa assemblea nazionale del Partito Democratico è stato approvato un ordine del giorno che non conteneva alcuna scelta riguardo il referendum. Curiosamente inanellava una serie di aggiustamenti che sarebbero stati conseguenti alla vittoria del Sì. Lasciamo stare il fatto che in un documento un partito dia per scontato l’esito di una consultazione popolare ancora da svolgere. Inopinamente la delibera dell’Agcom del 27 febbraio ci rende noto che tra soggetti favorevoli al Sì c’è il Partito Democratico attraverso il legale rappresentante Luigi Zanda, insieme ai Cinque Stelle e al Comitato Sì delle Libertà.
Emergono due ordini di perplessità, di ordine giuridico e istituzionale. La prima attiene al diritto dei partiti. Il Partito democratico al quinto comma dell’art. 1 del suo Statuto stabilisce che "Il Partito Democratico affida alla partecipazione di tutte le sue elettrici e di tutti i suoi elettori le decisioni fondamentali" (etc.). Quale decisione più fondamentale esiste di quella sul posizionamento in ordine ad una revisione costituzionale? Chi ha deciso tale costituzione? Quale organismo?
V’è poi una ragione di tipo istituzionale. È nota la ragione che ha condotto il Partito democratico a esprimersi favorevolmente rispetto a questa revisione, unicamente nella quarta votazione, dopo aver votato contro nelle tre precedenti votazioni in occasione delle quali ha espresso giudizi anche di grande severità sul merito della riforma. La ragione risiede nel patto di governo con i Cinque Stelle alla base della nascita del governo attuale. Un patto di governo che però ha ad oggetto anche una revisione della Costituzione.
Una volta questa ipotesi sarebbe stata generalmente biasimata. I manuali di diritto costituzionale usano ancora affermare che la materia costituzionale non è di indirizzo politico, e rispondono a logiche diverse. Una cosa è il rapporto governo-maggioranza, altra le regole del gioco. A questa idea faceva da corredo l’altra, che il consenso necessario ad una revisione si dovesse trovare in Parlamento e non a partire da un accordo di governo (a proposito di politicizzazioni dei referendum costituzionali...).
Teorie forse obsolete, almeno rispetto ai fatti, visto che già in diverse occasioni nella cd. Seconda Repubblica una revisione della Costituzione è stata oggetto di documenti programmatici di governo. Ma cosa dire di una revisione già giudicata così severamente da uno dei due sottoscrittori del patto? Non si sfugge alla constatazione che l’integrità della Costituzione sia stata sacrificata sull’altare della nascita di un governo, assecondando il volere di uno dei due soggetti e contro le idee manifestate dell’altro, che tuttavia ha acconsentito.
Non vorrei tornare a Croce, ma questa ipotesi è ben diversa da un accordo compromissorio che matura tra due o più soggetti avente ad oggetto la revisione della Costituzione. Siamo davanti ad una novità degna di rilievo. Forse spiacevole per i militanti di un partito che attraverso la successione storica dei gruppi dirigenti ha sempre ritenuto di difendere la Costituzione da revisione cattive o sbagliate. Cedere ad una revisione della Costituzione reputata sbagliata (inutile e dannosa) in nome di un interesse preminente è un grave precedente.
E quale sarebbe, del resto, un interesse preminente alla Costituzione? È finita che nel documento di partito citato in apertura non viene bollata come sbagliata la revisione ma la richiesta di referendum, riaffermando le ragioni che hanno condotto al voto favorevole alla revisione e elencando una serie di aggiustamenti necessarie e - singolarmente - l’annuncio di una ulteriore revisione costituzionale (la differenziazione tra le camere) che smentisce la ratio di questa.
Ora, il referendum è un istituto popolare, non è la casa dei partiti, anche se i partiti ovviamente possono e hanno un ruolo. Era proprio necessario, sempre nell’ottica della tenuta del governo, impegnarsi pubblicamente anche al sostegno delle ragioni del Sì dopo aver affermato tanto persuasivamente quelle del No? Non è un eccesso di zelo? La decideranno i militanti in questo referendum, ricordiamo, senza quorum.
Marco Plutino