"La mia regione ha un solo caso di contagio, accertato un paio di settimane fa, su 3 milioni di abitanti. Merito anche del mio legame con l’Italia che mi ha fatto anticipare la chiusura di dieci giorni rispetto al resto del Paese". Rafael Lacava è dal 2017 il governatore dello Stato del Carabobo, nella parte nord del Paese federale, "la Lombardia del Venezuela", dice lui, "perché è il motore dell’economia, una regione molto dinamica". Nato a Roma nel 1968, "ma ci sono rimasto pochi giorni, giusto perché mio padre era così nazionalista che ci teneva nascessi lì", papà del talento del calcio Matias passato dalla Lazio e ora in nazionale, Lacava ha ricoperto nella capitale italiana il ruolo di ambasciatore durante il governo Chavez nel biennio 2007-2008. Personaggio eccentrico, si è scelto come ‘alter ego’ Dracula, e controverso, accusato di avere nascosto fondi neri tra la Svizzera e Andorra ("Tutte falsità, non c’è una prova"), secondo alcuni osservatori internazionali potrebbe diventare il prossimo presidente del Venezuela.
"Siamo rimasti indenni perché avevo notizie di prima mano dai miei affetti - racconta - tra cui mia mamma che sta a Roma e amici italiani. Il primo focolaio qui si è sviluppato a Caracas e a Maracay che sono state anche le prime aree a essere chiuse. A quel punto, il 13 marzo, abbiamo deciso di fare il lockdown prima rispetto al resto del Venezuela, pur non avendo nessun caso di contagio. Prima che ci fosse stato indicato dal governo, abbiamo agito, poi il 24 marzo è stato sigillato tutto il Paese". Al dubbio che forse non ci sia stata una ricerca così capillare dei contagiati o che i dati possano non essere veritieri, sollevato anche da Human Rights Watch, Lacava ribatte: "Siamo il Paese che ha fatto più tamponi, dall’Alaska alla Patagonia. Andate a guardare le tabelle di tamponi per numero di abitanti, siamo i primi. In tutto il Venezuela, che ha 34 milioni di abitanti, ci sono 1325 contagiati 11 morti per la precisione, nessuno ha i nostri numeri. Tutti, asintomatici e sintomatici, vengono ricoverati e tenuti in ospedale".
Elogia il presidente Nicolas Maduro: "Ha chiuso tutto in modo tempestivo e coraggioso. I casi che abbiamo sono per lo più di nostri connazionali rientrati dal Brasile e dalla Colombia, Paesi dove, dopo lo scoppio della pandemia, sono stati trattati in modo vergognoso e disumano. Gente vittima di xenofobia e non curata dopo che noi per mezzo secolo abbiamo accolto migranti che scappavano da realtà difficili". La chiusura del Venezuela "ha riguardato voli internazionali, spiagge, ristoranti, centri commerciali. Solo dalle 10 alle 16 si può andare nei negozi che forniscono i servizi pubblici essenziali. Io ho fatto disinfettare tutto quello che si poteva: strade, mercati, mezzi pubblici. Come si sono comportati i venezuelani? Direi che come voto gli do un ‘sufficiente’. Certo, i casi sono pochi ma dal punto di vista mediatico, soprattutto per via dei social, e psicologico, la popolazione vive in uno stato di grande ansia. Ora, dal primo giugno la quarantena sarà più flessibile".
Lacava non nega che, nonostante quella che esalta come" una buona gestione sanitaria", siano guai grossi per l’economia: "Siamo in mezzo alla tempesta perfetta. Abbiamo due grandi nemici: uno nuovo, il virus, che ci crea i problemi che sta creando in tutto il mondo, e uno antico, le sanzioni Usa e il blocco totale da parte della comunità internazionale nei nostri confronti, anche in un momento di pandemia dove avremmo bisogno di aiuto per comprare cibo e medicine. I fondi del Venezuela sono bloccati, anzi sequestrati nelle grandi banche europee. È una situazione inumana, il Venezuela viene derubato con la scusa di ragioni politiche. Presidi sanitari, farmaci e tamponi sono arrivati dalla Cina e dal resto del mondo, attraverso le organizzazioni non governative".
Dall’inizio dell’emergenza, l’Ocha, l’ufficio della Nazioni Unite per il coordinamento degli Affari umanitari, ha inviato oltre 100 tonnellate di aiuti. Anche in Venezuela, spiega, l’Istituto Nazionale della Ricerca scientifica, sta sperimentando dei farmaci per curare il Covid. "Stiamo testando un anti-virale molto promettente. Se funziona - ride - prometto che lo diamo anche a Trump, secondo me lo prende". Sui social intanto, dove è seguito da un milione di persone tra Instagram e Twitter, ha promesso di organizzare per la fine della pandemia, "La rumba màs violenta que se puedan recordar".
Manuela D'Alessandro