La notizia c’è: nel 2010 il Movimento Cinque Stelle ha ricevuto fondi neri dal Governo venezuelano di Hugo Chávez. Se fosse vera sarebbe una bomba ad alto potenziale fatta deflagrare nel mezzo della tribolata politica italiana. Appunto, se fosse vera. Perché sulla sua fondatezza ci sono molti dubbi. A dirla tutta, lo scoop del quotidiano spagnolo "Abc" che ha diffuso la notizia corredandola di una presunta prova in stile "pistola fumante" ha tutta l’aria di essere una polpetta avvelenata. La destra plurale faccia molta attenzione nel trarre conclusioni affrettate. Ora, ne comprendiamo la voglia irresistibile di stabilire un nesso di causalità tra la storica posizione filochavista dei Cinque Stelle e i denari passati sotto banco dalla dittatura venezuelana per corroborare le relazioni amichevoli con il movimento politico italiano. Ma non sarebbe la giusta chiave di lettura. Ci compenetriamo nel desiderio, tutto umano, di poter dire all’opinione pubblica che gli integralisti della trasparenza, gli sbandieratori dell’onestà, non siano stati semplicemente beccati con le mani nella marmellata, di più: abbiano riempito l’intera dispensa di barattoli di marmellata ancor prima di cominciare ad arringare le masse. Ma è questo il modo migliore per battere il nemico politico? Si obietterà: se fosse accaduto il contrario, se il documento incriminante avesse fatto riferimento a un finanziamento dato a un partito della destra plurale, alla Lega ad esempio, cosa sarebbe accaduto? Matteo Salvini e compagni sarebbero stati ricoperti di fango e d’insulti e la Lega sarebbe stata terremotata nei sondaggi. I giornali filogovernativi sarebbero andati a nozze nello "sputtanare" il candidato della destra plurale alla guida del Paese. Il Fatto quotidiano, dante causa del Conte bis e La Notizia, il Dazebao della propaganda grillina, non si sarebbero certo sbracciati come stanno facendo in queste ore per smentire lo scoop. Al contrario, avrebbero tessuto trame per tirarla in lungo con l’inchiesta allo scopo di tenere i nemici quanto più possibile a rosolare a fuoco lento sulla graticola mediatica. Ma la destra, depositaria di valori eterni e sacri quali l’onore, la lealtà, l’ossequio alle regole del combattimento, anche politico, il rispetto cavalleresco per l’avversario, non può confondersi con la spazzatura giustizialista, che tale resta anche se ben confezionata in eleganti formati tabloid. E neppure fare il verso alla sinistra che oggi farfuglia di garantismo quando per decenni ha sguazzato nei profitti elettorali che la giustizia ad orologeria propiziava ai danni di Silvio Berlusconi e del suo tentativo di cambiare verso all’Italia. La Destra è un’altra cosa. Ed è giunto il momento di dimostrarlo nei fatti. Perché è facilissimo fare i garantisti quando si è sotto attacco della magistratura politicizzata, mentre è più arduo non cedere alla tentazione di rendere pan per focaccia quando nella torba ci finiscono gli altri: gli avversari sleali, i nemici vigliacchi. Intendiamo Beppe Grillo ci, non cavalcare la notizia tenendosene a debita distanza è appannaggio della virtù della politica non del pragmatismo dei giornali, anche di quelli che nell’immaginario collettivo vengono collocati a destra. Nessuno può chiedere magnanimità a Libero, al Il Giornale o a La Verità, tanto per citarne alcuni dei più noti. I giornali sono giornali e campano di notizie che, se ci sono, vanno date. Ma, per buona prassi, a destra i quotidiani non dettano la linea ai partiti ideologicamente loro affini. L’auspicio è che tutta la destra non si scomponga cercando di cavalcare lo scandalo ma resti coerente a se stessa. L’elettorato apprezzerà. Che se la sbrighino gli inquirenti a valutare l’attendibilità dello scoop. I presunti 3,5 milioni di euro che il regime sanguinario di Chávez avrebbe investito in Italia per aiutare la crescita del Cinque Stelle, scambiato per movimento di ultrasinistra, rivoluzionario e antisistema, non sono bruscolini. Se sono transitati dal Venezuela all’Italia fino a depositarsi nelle tasche di Gianroberto Casaleggio dovranno aver lasciato una traccia. E poi, come sarebbero stati spesi? Non lo sappiamo. Al più, possiamo congetturare su come non siano stati spesi. Certamente non un euro per pagare un corso di grammatica e di geografia a Luigi Di Maio. Non un euro per lezioni di buone maniere alla senatrice Paola Taverna. E neppure un soldo per spedire tutta la classe dirigente grillina a studiare la storia e la dottrina politica. Si dirà: c’è la pistola fumante del documento della divisione dei Servizi segreti in forza al ministero della Difesa venezuelano che spiega per filo e per segno come siano andate le cose e chi sia stato il beneficiario della dazione. E chi ci crede a un documento che viene dagli apparati di sicurezza di un Paese sudamericano? Occorrerebbe qualcosa di più sostanzioso di quel pezzo di carta che sta facendo il giro del mondo. E la modalità della dazione di denaro con la classica valigetta a fare da protagonista? Sembra una roba da spy story di Jan Fleming. E il contenuto del dispaccio incriminante? Comico. Come a dire: "Sì, effettivamente è stata inviata segretamente una valigetta con 3,5 milioni di euro, su autorizzazione del ministro degli Esteri Nicolás Maduro (oggi presidente del Venezuela) a un cittadino italiano di nome Gianroberto Casaleggio. Sono state date istruzioni verbali e su questa storia non rompete più i c...ni perché potrebbero esserci problemi con il Governo italiano". Non può essere una cosa seria. A prescindere dal grado veridicità della notizia, resta la disgustosa sensazione che si prova quando si vede chiamato in causa un morto che non può difendere la sua onorabilità. Resta aperto, tuttavia, il quesito assolutamente legittimo del "cui prodest?", del perché del cazzotto sotto la cintola ai Cinque Stelle. A lume di naso si direbbe che non si tratta della farina del sacco italiano. Probabilmente c’entrano qualcosa i rapporti sempre più stretti che i Cinque Stelle coltivano con i governi autoritari del mondo, in particolare con la dirigenza cinese. È noto che la corrispondenza d’amorosi sensi tra la Roma grillina e Pechino non piaccia a molti in Europa e negli Stati Uniti. Senza fantasticare di complotti internazionali il "pacco" venezuelano potrebbe essere interpretato come un simbolico calcio nei testicoli a Luigi Di Maio, ad Alessandro Di Battista e a tutta la combriccola pentastellata che frequenta gli uffici della "Casaleggio Associati". Non sarebbe male se, oggi che si fa un gran parlare di prevenzione a proposito del coronavirus, il ministro degli Esteri e il presidente del Consiglio andassero in Parlamento a chiarire un po’ di cose sui rapporti intrattenuti con il Venezuela di Maduro e con la Cina di Xi Jinping, che Di Maio chiama affettuosamente col vezzeggiativo "Ping". Come si dice: prevenire è meglio che curare. Giusto per la chiarezza dovuta ai lettori, nessuno più di noi vorrebbe vedere spediti a casa i grillini. Li giudichiamo un’ipoteca parassitaria sulla politica italiana. Nondimeno, riteniamo che debbano essere sconfitti, estirpati dai gangli del potere, soltanto con gli strumenti della democrazia. E non per via giustizialista e diffamatoria. Tale modalità di lotta è prerogativa della sinistra in tutte le sue declinazioni. Mai dovrà esserlo della destra. Perché, lo ribadiamo, la destra è un’altra cosa.
di CRISTOFARO SOLA