Quirinale, cominciate le grandi manovre. Ovvero la guerra per il Colle. Potrebbe apparire strano a chi non "comprende" la politica, ma fra i partiti è già cominciata la guerra per il dopo Mattarella. Il Capo dello Stato è stato eletto alla quarta votazione il 3 febbraio del 2015, il suo mandato scade quindi nel 2022. Si dirà: è ancora lontano quel giorno. Invece non è così, perché la guerra per la corsa al Colle si è già iniziata tra manovre, inciuci, false e singolari alleanze, intrighi di corridoio e chi più ne ha più ne metta.
Si chiede la gente: quell’incarico è talmente importante? Siamo una repubblica parlamentare, dovrebbero essere Camera e Senato a dettar legge. È lì che maggioranza e opposizione si scontrano per poi essere premiati da chi vota. Ma la realtà è diversa: pur non avendo le stesse prerogative, ad esempio di Macron eletto dal popolo e non dal Parlamento in seduta comune, il nostro presidente ha una serie di poteri che vigilano e a volte condizionano il futuro del Paese.
QUIRINALE, I PARTITI PRENDONO POSIZIONE
Per questa ragione, i partiti combattono già la loro guerra per ottenere la candidatura preferita. Il braccio di ferro è durissimo e chi non è a dentro agli "affari" della politica potrebbe non capire i motivi di simili intrighi. Se si dovesse stare ai numeri e quindi all’elezione del nuovo inquilino del Quirinale, non ci dovrebbero essere dubbi. Le forze della maggioranza avrebbero la chance per vincere e il discorso si chiuderebbe. Troppo facile per i rappresentanti del Parlamento. Le divisioni già esistenti nella quotidianità si raddoppiano se non triplicano per portare l’acqua al proprio mulino. Proviamo a fare qualche esempio per essere più chiari. I 5Stelle sono attualmente il partito più forte nel Paese e vuole dunque avere voce in capitolo quando nel 2022 si dovrà scegliere il successore di Sergio Mattarella al Quirinale. Il partito democratico non ci sta ed i suoi esponenti più autorevoli storcono la bocca (e non solo) quando sentono esternare il loro parere dai Grillini. Per il momento siede sul Colle un ex democristiano e Zingaretti non ha assolutamente nessuna intenzione di perdere e di lasciare strada ai suoi alleati di oggi.
RENZI GUARDINGO SULLA CORSA AL COLLE
Renzi è come al solito guardingo. Rimane alla finestra e di tanto in tanto detta alle agenzie una dichiarazione che non tranquillizza né gli uni, né gli altri. E’ chiaro che, stando così le cose, le opposizioni non stanno a guardare. Si infilano nella bagarre e pur di non rimanere a bocca asciutta provano a fare nuovi patti anche con quei partiti con cui non hanno mai avuto un qualsiasi rapporto. Se ne sente una in giro per i corridoi di Montecitorio. E se si stringesse un accordo fra Pd e Lega, i 5Stelle sarebbero con le spalle al muro e dovrebbero riprendere i negoziati con i Dem? Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, si considera una patriottica. Perciò ritiene che quel "posto" dovrebbe essere occupato da una persona che pensi solo al bene ed al futuro del Paese. Paese che sta vivendo una drammatica situazione economica.
LE AMBIZIONI DI CONTE
Forza Italia da anni predica una re- pubblica presidenziale di modo che il Capo dello Stato venga eletto direttamente dal popolo. Non per questo si tiene lontana dalla competizione. Ritirarsi sull’Aventino sarebbe da sciocchi e da incompetenti. In questa condizione così incerta non bisogna dimenticare il ruolo del presidente del Consiglio. Giuseppe Conte sa perfettamente qual è l’importanza di tale ruolo e lavora diplomaticamente come è sua consuetudine. Lontano dall’idea di non fondare un suo partito che avrebbe secondo i sondaggisti più accreditati il quindici per cento dei voti, anche il premier accarezza l’idea di avere sul Colle una persona con cui ha da sempre un buon feeling. Perché? Il motivo lampante è che al capo dell’esecutivo non dispiacerebbe affatto di poter sedere di nuovo a Palazzo Chigi per il Conte numero tre. Per ora, vuole continua- re ad avere dalla sua il favore della gente e annuncia che presto sarà varata una misura assai popolare: la riduzione dell’Iva, un "affare" da dieci miliardi.
Bruno Tucci