Caro Direttore, non ci sarà nessuna verità su Giulio Regeni. Giulio è morto. È stato ammazzato, probabilmente in modo molto brutale. Le ragioni non saranno mai comunicate ufficialmente, né dall’Egitto né dall’Italia. Mantenere aperto il caso Regeni è un’offesa alla memoria di Giulio; è un ulteriore dolore per la famiglia; è una presa in giro dei cittadini.
Le istituzioni stanno trascinando il caso perché non possono risolverlo. O non vogliono o non sono capaci. O una, o l’altra, o entrambe. I cittadini, non solo la famiglia, devono avere dalle istituzioni una risposta definitiva. Il Governo egiziano non ha intenzione di garantire alcuna spiegazione. Nessuno dei Servizi si è attivato per salvarlo (forse non c’era tempo). Né si sono mossi, alla luce del sole, per vendicarlo o chiedere giustizia. Non importa nemmeno che Regeni abbia infranto delle regole tacite per cui è stato abbandonato al suo destino.
Quello che pretendiamo è che l’attuale Governo chiuda il caso. O si impegna davvero per ottenere la verità e giustizia, a tutti i costi, o mette la parola fine al caso con un nulla di fatto. È evidente che per ottenere la verità la diplomazia non è sufficiente. Serve una guerra, che sia commerciale o violenta. Ma ce la possiamo permettere? Ne abbiamo voglia? No. I Governi (non solo l’attuale) preferiscono allora, trascinare la questione nel tempo, confidando che si annacqui, che i cittadini dimentichino, che l’emotività svanisca.
È tipico del dibattito mediatico, di quello politico e della burocrazia italiana, che nei secoli ha preferito galleggiare pur di prendere una posizione forte a tutela dei suoi interessi. Lo dimostra la pochezza della nostra politica estera. Anche Giulio Regeni ne è vittima. Con questo teatrino è morto due volte, in Egitto e in patria. Galleggiando non si affonda ma non si arriva a riva, si vaga senza meta.
Professore Pietro Paganini
Temple University of Philadelphia John Cabot University