Si aggiunge un nuovo nome all’elenco delle persone che hanno contribuito a salvare gli ebrei durante la persecuzione nazista, quello del mimo francese Marcel Marceau. "Per raccontare una storia spesso non servono le parole, basta un gesto. Come fanno i mimi": così spiega Arturo Brachetti, trasformista, attore e regista teatrale italiano, dopo aver visto il film "Resistance - La voce del silenzio" on demand sulle principali piattaforme con Vision Distribution (Apple Tv, Sky PrimaFila, Chili, Google Play, infinity, TimVision e Rakuten Tv) per la regia di Jonathan Jakubowicz e con protagonista Jesse Eisenberg. Tutto accade durante la Seconda guerra mondiale quando Marceau, oltre a essere un grande artista, rappresentò una speranza per molti ebrei perseguitati in Francia dal razzismo: sfidò i nazisti e aiutò oltre cento orfani a fuggire in Svizzera. Un racconto che non si esaurisce con la partecipazione alla Resistenza francese, ma testimonia la forza del potere dell'arte per restituire un sorriso anche nei momenti più bui della storia umana.
Il film di Jonathan Jakubowicz ha debuttato online svelando una vicenda ignota. Perché il mimo francese, negli anni della Seconda Guerra Mondiale, è andato oltre il proprio mestiere, per aiutare degli orfani a salvarsi dagli aguzzini nazisti. Marcel Marceau, nato Marcel Mangel da famiglia ebraica (Strasburgo, 22 marzo 1923 – Cahors, 22 settembre 2007), è stato un attore teatrale e mimo francese, allievo di Étienne Decroux, inventore del moonwalk, passo che venne poi rivisto e reso popolare da Michael Jackson, con la sua marcia contro il vento. Già all'età di cinque anni era rimasto affascinato vedendo al cinema i film di Charlie Chaplin; ad attrarlo era soprattutto il personaggio di Charlot, l'iconico vagabondo del cinema muto. Da bambino si divertiva a improvvisare scenette teatrali per i suoi amici, sullo stile di Charlot. Quando scoppiò la Seconda guerra mondiale nel 1939, la famiglia Mangel si rifugiò a Limoges nella Francia centrale. Nel 1942 Marcel si unì con il fratello Simon (Alain) e il cugino George Loinger a un gruppo di resistenza francese, che in seguito divenne parte dell'organizzazione Francs-tireurs et partisans (FTP).
Nei documenti falsi, Marcel e il fratello adottarono il cognome di Marceau, in onore di un generale della Rivoluzione Francese, cognome che Marcel poi conserverà come nome d'arte nel dopoguerra. L'esperienza della guerra gli insegnò tratti importanti della pantomima: la vita nascosta, il silenzio forzato, la paura di tradire se stessi. Marceau probabilmente interpretò la sua scena migliore già nel 1943, quando fu prelevato dalla Gestapo nella metropolitana di Parigi. Come ricercato combattente ebreo con false carte, riuscì a reprimere la sua paura e a interpretare il ruolo di innocente civile. Le sue capacità di autocontrollo fisico si rivelarono ancora una volta utili, quando nel 1943 per tre volte fu incaricato di accompagnare clandestinamente gruppi di bambini ebrei da un orfanotrofio francese in Svizzera, usando le sue doti mimiche per tenere buoni i piccoli durante il tragitto. Fino al 2001, quando gli venne conferita la medaglia Raoul Wallenberg, Marceau non aveva mai parlato del suo passato nella Resistenza.
Non tutti i componenti della famiglia Mangel riuscirono a sopravvivere all'Olocausto. Il padre di Marcel fu arrestato nel febbraio del 1944 dalla polizia del regime di Vichy a Limoges, deportato al campo di internamento di Drancy e quindi ad Auschwitz, dove fu ucciso. Marcel divenne membro della Resistenza per salvare i bimbi e i ragazzi che il nazi-fascismo aveva reso orfani. Il mimo, le cui gesta sono ripercorse nel film, venne stato reclutato dal comandante dell’unità Oeuvre de Secours aux Enfants. "Marceau manteneva i bambini tranquilli mentre fuggivano. Non si serviva delle sue abilità recitative solo per mettere a proprio agio i piccoli, le usava per salvare le loro vite. Se fossero stati scoperti dai tedeschi, nessuno di loro avrebbe avuto scampo. Stava mimando per la sua e la loro vita" ha detto Philippe Mora, che, figlio di uno dei compagni di resistenza di Marceau, ha spiegato come la mimica, la sublime arte del silenzio di Marceau, sia servita per distrarre i bambini e al contempo renderli liberi.
Il mimo si aggiunge ad altri eroi silenziosi, come il ciclista Gino Bartali, che salvarono gli ebrei dallo sterminio. Contattato da Elia Angelo Dalla Costa, arcivescovo di Firenze dal 1931 al 1961, Bartali entrò a far parte dell’organizzazione clandestina DELASEM (Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti Ebrei) nel 1943 e fra il settembre di quell’anno e il giugno 1944 compì la sua missione umanitaria. Partendo dalla stazione di Terontola – Cortona e giungendo a volte addirittura fino ad Assisi, realizzò svariati giri in sella alla sua bicicletta trasportando documenti e fototessere all’interno dei tubi del telaio in modo che una stamperia segreta potesse poi falsificare i documenti necessari alla fuga di ebrei rifugiati. In alcune occasioni venne fermato dalle guardie fasciste e talvolta fu sfiorato dallo scoppio di qualche bomba. Con questi giri in bici salvò circa 800 persone, così come dichiarato dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nel 2005 durante il conferimento postumo della medaglia d’oro al merito civile. Negli anni successivi sarebbero poi giunti riconoscimenti ancor più importanti: il 2 ottobre 2011 fu infatti inserito tra i "Giusti dell’Olocausto" nel Giardino dei Giusti del Mondo di Padova, mentre il 23 settembre 2013 venne dichiarato "Giusto tra le Nazioni" dallo Yad Vashem, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah.
Più nota è la vicenda di Giorgio Perlasca un uomo che, pressoché da solo, nell’inverno del 1944-1945 a Budapest riuscì a salvare dallo sterminio nazista migliaia di ungheresi di religione ebraica inventandosi un ruolo, quello di Console spagnolo, lui che non era né diplomatico né spagnolo. Tornato in Italia dopo la guerra la sua storia non la racconta a nessuno, nemmeno in famiglia, semplicemente perché riteneva d’aver fatto il proprio dovere, nulla di più e nulla di meno. Se non fosse stato per alcune donne ebree ungheresi da lui salvate in quel terribile inverno di Budapest la vicenda sarebbe andata dispersa. Queste donne, a fine degli anni ’80 misero sul giornale della Comunità ebraica di Budapest un avviso di ricerca di un diplomatico spagnolo, Jorge Perlasca, che aveva salvato loro e tanti altri correligionari durante quei mesi terribili della persecuzione nazista a Budapest e alla fine della ricerca ritrovarono un italiano di nome Giorgio Perlasca. Il destino decise che la storia di Giorgio Perlasca venisse conosciuta e scritta. Ora il suo nome si trova a Gerusalemme, tra i Giusti fra le Nazioni, e un albero a suo ricordo è piantato sulle colline che circondano il Museo dello Yad Vashem.
È rimasta a lungo nascosta la vicende che vide per protagonista Aristides de Sousa Mendes (1885 – 1954), console generale del Portogallo a Bordeaux, esempio del contradditorio atteggiamento di Lisbona. Con la capitolazione della Francia nel giugno del 1940 migliaia e migliaia di profughi fuggirono dall’occupazione tedesca cercando scampo verso la Spagna e il Portogallo. Da quando il 10 maggio 1940 la Germania invase Belgio e Paesi Bassi, il governo portoghese vietò i visti d’ingresso e i permessi di transito attraverso il Portogallo che venivano distribuiti proprio dal consolato di Bordeaux. Così 30mila profughi, di cui un terzo ebrei, si trovarono bloccati nella città della Gironda. Sousa Mendes, vedendo la terribile situazione dei rifugiati, decise di disobbedire alle istruzioni esplicite del suo governo. Ricevette una delegazione di rifugiati al consolato, guidata dal rabbino Haim Kruger, e promise visti di transito per tutti coloro che ne avessero bisogno. A chi non poteva pagare per i visti, Sousa Mendes consegnò gratuitamente i documenti. Il console istituì poi un ufficio nel consolato dove, con l’aiuto di due dei suoi figli e di alcuni ebrei, cominciò a rilasciare permessi di ingresso in Portogallo. Sousa Mendes faticò per tre giorni e tre notti, senza concedersi un momento di riposo. Tra il 15 e il 22 giugno 1940 Sousa Mendes ha emesso un totale di 1.575 visti.
Le voci su quanto Sousa Mendes stava facendo raggiunsero Lisbona, che ordinò al console di tornare in patria. Vennero inviati persino due uomini per scortarlo in patria. Lungo la strada, ancora in Francia, il gruppo passò davanti al consolato portoghese di Bayonne, a pochi chilometri dal confine spagnolo. Sousa Mendes vide una folla di centinaia di persone fuori dalle porte dell’ufficio diplomatico. Anche se era stato richiamato, Sousa Mendes entrò nel consolato e, ignorando le obiezioni del funzionario locale, ordinò di rilasciare visti a tutti i richiedenti. Timbrò i visti personalmente, aggiungendo ai documenti una frase, scritta a mano: «Il governo del Portogallo chiede gentilmente al governo di Spagna di consentire al titolare di questo documento di attraversare liberamente la Spagna. Il titolare di questo documento è un rifugiato del conflitto in Europa ed è in viaggio verso il Portogallo». Il console accompagnò personalmente i rifugiati a un posto di blocco spagnolo, in modo che attraversassero la frontiera in modo sicuro. Tornato a Lisbona, Sousa Mendes, venne condotto davanti a un comitato disciplinare e licenziato dal suo incarico al Ministero degli Esteri. Un gesto che lo ha portato all’indigenza, avendo ben tredici figli.
Tra le personalità che Sousa Mendes riuscì a sottrarre alle mani degli aguzzini nazisti figurano il principe austriaco Ottone d'Asburgo-Lorena, ricercato dalle SS; alcuni membri della influente famiglia Rothschild; Antonia, sorella di Charlotte, duchessa di Lussemburgo, assieme al cognato Rupprecht, principe ereditario di Baviera. Non è stato possibile dagli archivi lasciati da Sousa Mendes apprendere se il visto concesso a Robert Montgommery si riferisse all’attore americano, che viaggiò da Lisbona a New York nel giugno 1940 oppure all’omonimo industriale britannico che compì lo stesso tragitto nel settembre di quell’anno. Gli ebrei, a differenza di quanto avveniva in altri paesi neutrali, non vennero internati in campi di raccolta ma fu concesso loro di sistemarsi in luoghi lontani dalla capitale in attesa di imbarco. Scelsero località come Ericeira, Figueira da Foz, Caldas da Rainha, spesso aiutati dalla popolazione locale o dai negozianti.
Marco Ferrari