In Bolivia, la presidente ad interim Jeanine Áñez ha promulgato la legge per andare alle elezioni presidenziali e ora il Tribunale Supremo Elettorale dovrà decidere quando andare a votare scegliendo una data di calendario con termine massimo il prossimo 6 settembre.
Fino a domenica scorsa Áñez era propensa a far slittare ancora l’appuntamento elettorale tenuto conto del rischio di votare “in piena epidemia” di Covid-19, dal momento che il picco, secondo i dati in possesso del governo, dovrebbe giungere proprio all’inizio di settembre.
Poi le pressioni di Carlos Mesa di Comunidad Ciudadana, lo stesso che aveva sfidato lo scorso ottobre Morales, e di Luis Arce, ex ministro dell’economia di Evo che si presenta per il Movimiento al Socialismo (MAS), l’hanno fatta cedere. L’attuale presidente era giunta alla carica più alta in modo del tutto casuale, ricoprendo il ruolo di vicepresidente del senato quando Morales si dimise per le accuse di brogli elettorali. Alla sua rinuncia, fece seguito un’ondata di abbandoni da parte di esponenti del suo partito che occupavano cariche istituzionali.
La legge del paese prevede che le presidenze di senato e camera ruotino ogni anno, e per salvaguardare gli equilibri democratici, il MAS riservava la seconda vicepresidenza all’opposizione. In tal modo poteva far apparire controbilanciato il suo completo controllo del parlamento. Se quanto è successo dopo le elezioni dello scorso ottobre fosse successo l’anno prima, ora la Bolivia avrebbe alla presidenza non Añez, ma un altro politico sconosciuto. Questa volta proveniente da Unidad Demócrata, in quanto secondo vicepresidente del senato allora in carica. Quanto a Añez, originaria di Santa Cruz, era stata candidata dal suo partito non per le sue doti politiche, ma per la quota obbligatoria di presenza femminile. Alle presidenziali dell’ottobre 2019 non era nemmeno candidata. Bisognerà attendere la mattina del 10 novembre, data in cui assunse la presidenza della repubblica quale massima carica dello Stato disponibile, per farla uscire dal cono d’ombra che in pratica la relegava al ruolo di pensionata della politica, ignorata perfino dal suo stesso partito. Come si è detto, la rinuncia di Morales suscitò in quei giorni un’ondata emulativa nei suoi seguaci, e se per caso un qualsiasi senatore del MAS, primo vicepresidente del senato, non si fosse dimesso rifiutandosi di imitare il capo, ora sarebbe il presidente. Il vuoto che in tal modo si andò a creare a livello istituzionale, ha fatto la fortuna di una politica di second’ordine che negli anni di opposizione ha covato risentimento e voglia di potere, e nei sette mesi che ha guidato il governo interino ha dimostrato di aver fatto propri gli stessi sistemi autoritari che, da sua oppositrice, imputava a Morales.
Gli ultimi sondaggi politici risalgono a prima dello scoppio dell’epidemia, e danno Añez, candidata per l’alleanza Juntos, terza dietro a Luis Arce del MAS, e a una incollatura da Carlos Mesa. Può essere che i sondaggi fatti dai partiti successivamente abbiano registrato una qualche crescita del suo gradimento rispetto a Mesa, ma secondo i dati noti, il MAS sarebbe vicino al 35%.
Una percentuale che non tiene conto della quota di voto esterno, soprattutto dei boliviani residenti in Argentina, che lo potrebbe portare al 40%. La legge elettorale in vigore, pre- vede che vinca al primo turno il partito che ottiene quella percentuale con un distacco di dieci punti sull’avversario.
Tenuto conto della grande frammentazione dei candidati dell’opposizione, si potrebbe quindi ipotizzare una elezione al primo turno per il Movimiento al Socialismo. Tanto più che per lo scandalo delle mazzette per l’acquisto dei respiratori che ha coinvolto il suo governo, le speranze per Añez appaiono oggi di molto ridimensionate.
Il MAS si dichiara sicuro di vincere al primo turno, e l’opinione è stata confermata non più tardi di ieri dallo stesso Evo Morales in un’intervista concessa alla BBC da Buenos Aires. Del resto, nonostante le richieste che provengono da più parti, pare poco proba- bile che l’attuale presidente ad interim rinunci a correre, impegnata com’è da tempo a far campagna alla maniera di Morales, come lui andando in giro a inaugurare e consegnare opere per fare propaganda.
Uno studio della fondanzione Friedrich Ebert Stiftung (FES), pubblicato ieri sul quotidiano La Razon, rivela che per il 53,6% degli intervistati Áñez non avrebbe mai dovuto candi- darsi, limitandosi a portare il paese fino alle elezioni e poi farsi da parte. Come del resto lei stessa aveva assicurato nel momento in cui era entrata in carica. Per il 27,9%, invece, la presidente dovrebbe rinunciare alla sua candidatura per potersi concentrare nella lotta all’epidemia, mentre solo l’8,8% pensa che possa presentarsi senza danneggiare la gestione dell’emergenza. In un paese che la maggioranza dei suoi cittadini percepisce immerso in una pessima situazione politica ed economica, con una frattura sociale ancora più profonda e critica, e un’opinione pubblica divisa anche sulle prossime elezioni generali. La Bolivia da tre mesi è sconvolta da una crisi sanitaria che ha contagiato fino a ora 28.503 persone, provocando 876 morti. Con i boliviani in quarantena dallo scorso 22 marzo, i riflessi economici sono facilmente prevedibili. L’ultimo report della Banca Mondiale pubblicato lo scorso 8 giugno, indica per il paese andino una caduta del 5,9% del PIL per il 2020.
Dati che trovano largo riscontro nell’opinione della gente, per la quale la maggiore preoccupazione si deve alla crisi economica e all’aumento della povertà, seguiti dal rischio del contagio e del collasso del sistema sanitario. Per finire col pericolo dell’autoritarismo e della persecuzione politica. Non sarà certo un caso.
Claudia Madrigardo