Vergognoso è un aggettivo che non rende l’idea. Non fotografa. Un eufemismo e punto. Parole appropriate non esistono per definire l’accaduto a Piacenza, nella caserma dove un gruppetto di carabinieri costituitisi in banda avevano instaurato un clima da Gomorra. Il luogo deputato a far valere la legge era diventato quello dove trionfava l’illecito. La caserma Levante di via Caccialupo, in pieno centro città, ora sotto sequestro, su disposizione del Comando Generale. Un provvedimento mai assunto prima nella storia d’Italia e dell’arma dei Carabinieri.
La caserma trasformata nella sede di un’associazione a delinquere. Il gruppetto di delinquenti in divisa governava lo spaccio di stupefacenti in buona parte della città. I metodi, poi: brutali, pestaggi, arresti fasulli, minacce, estorsioni. Sei militari arrestati e altri quattro indagati. Torture e spaccio. “Qui si vende la droga nostra”, ritenendosi intoccabili, autentici padreterni in grado di dominare il mondo. Un appuntato si era eletto a capo della banda in divisa, diventando proprietario di una villa con piscina, di auto e moto di grossa cilindrata, e di svariati conti in banca. Conduceva una vita tre volte molto al disopra di quella che può consentire uno stipendio di appuntato dei carabinieri. Giuseppe Montella, 37 anni, detto Peppe, il capobanda. È finito in manette; altri quattro sono sottoposti a misure cautelari. Sotto inchiesta sono finite dodici persone. Uno è a piede libero. Si sentivano intoccabili. Pestaggi e risate. “Quello l’ho fracassato. Pensavo di averlo ucciso, l’ho creduto morto”. Poi i festini in piscina. In pieno lockdown, il 12 aprile, in aperta violazione delle norme restrittive, l’appuntato Montella dà una festa in giardino. Il reparto operativo del comando provinciale invia una pattuglia. Quando il comandante Lorenzo Ferrante capisce che la casa è quella di Montella ordina alla pattuglia di lasciare il quartiere. Chiama l’appuntato e si scusa “per il disguido”, assicurandogli che non avrebbe redatto alcun documento. I selfi dei carabinieri delinquenti con i loro complici pusher e spacciatori. Immagini che atterriscono: in cinque mostrano, ostentano, mazzette di banconote vere. “Ho fatto un colpo della madonna: metà della roba sequestrata l’ho tenuta e metà l’ho tenuta. L’erba a me interessa averla sempre”. Spaccio e consumo di marijuana l’attività preferita. “Guarda che è stato uguale alle scene di Gomorra”. I militari fornivano roba proveniente dai sequestri. Montella aveva creato un apparato, che lui stesso, intercettato dai pm Matteo Centini e Antonio Colonna, descrive così: “è una catena, abbiamo costituito una piramide, a noi non arriveranno mai”. Non c’erano intermediari tra i carabinieri infedeli e i pusher. La merce arrivava attraverso diversi canali. Uno dai forni- tori dei quartieri e sud di Milano. Sempre Montella, “No, fumo no, che cazzo te ne frega dell’hashih”, quando ne parla col complice Daniele Giardino, uno dei suoi intermediari. Durante il lockdown gli intermediari hanno difficoltà a procurarsi la droga. I carabinieri si offrono si accompagnarli a Milano per evitare i controlli. In macchina, Montella, Giardino, e un altro carabiniere. Il capobanda aveva prodotto un’autorizzazione a viaggiare fasulla, con tanto di timbro della caserma. Ma i superiori di Montella e dei compagni della banda? Ar- resti in cambio di impunità (il comandante ci teneva al numero degli arrestati...) e il silenzio dei superiori. Il gip accusa: “In troppi chiudevano un occhio”. Minacce, estorsioni, di tutto, dI più. La banda in divisa non si poneva limiti.
Peppe Montella deve cambiare auto, sceglie un’Audi A4 usata, ma in buone condizioni, in vendita per 21mila euro, e lui la vuole, la pretende, e se la prende per 10mila. Come? Arriva sul posto con uno dei suoi due spacciatori e pesta a sangue il titolare dell’auto ri- vendita. L’episodio è registrato dalle microspie. Montella racconta che il rivenditore aveva un computer sul tavolo che lui ha distrutto. “Figa, gliel’ho sfasciato. Lui ha detto a un suo collaboratore, metti le targhe sulla macchina e portarla a Piacenza. E ce la siamo portata”. Azioni da delinquente della peggiore specie, altro che appartenente alla Benemerita.
Montella e soci incastrati dallo sfogo di un maresciallo, l’unico della caserma fuori dal sistema. “Fanno così perché hanno dei ganci”. Montella usciva spesso in servizio in stato di evidente ebbrezza. Il maresciallo Pietro Semeraro ne parla con il maggiore Bezzeccheri, il 22 febbraio scorso. “I ragazzi della Levante, più che gestiti, devono essere ridimensionati. Perché, forse, si sono allargati un po’ troppo”. Quelli che loro chiamavano ragazzi gliela facevano sotto gli occhi.
I magistrati Matteo Centini e Antonio Colonna, coordinati dal procuratore piacentino Grazia Pradella hanno incastrato la banda a capo di sei mesi di indagini condotte dalla Guardia di Finanza. Il tutto è partito da un ufficiale dell’Arma testimone in un’altra inchiesta aveva rivelato fatti inquietanti avvenuti alla Levante, riferiti da un confidente. Convocato dai magistrati, il confidente aveva trasmesso le informazioni di un pusher pestato dai carabinieri infami, poi finiti sotto inchiesta.
Oltre a Montella, sono finiti in manette gli appuntati Salvato- re Cappellano, Angelo Esposi- to, Giacomo Falanga, Daniele Spagnolo. Il comandante di stazione Marco Oelando è ai domiciliari. Indagato anche il comandante della compagnia Stefano Bezziccheri. Ampio e variegato il catalogo dei reati contestati, dal traffico e spaccio di droga alla ricettazione, alla tortura.
Da Roma, il Comando Generale dei Carabinieri fa sapere che i militari coinvolti sono stati sospesi dall’impiego, senza stipendio, e di avere inviato a Piacenza due stazioni mobili e otto carabinieri per garantire il servizio della Levante posta sotto sequestro. Il commento del generale Giovanni Nistri: “Episodi del genere possono intaccare la fiducia nell’Arma, mai io devo parlare a tutela dei centomila carabinieri che ogni giorno e ogni notte fanno il loro dovere sul territorio”.
Piacenza come l’ha presa? Nella maniera comune ad una qualsiasi persona normale, abituata a vivere onestamente del proprio stipendio e del proprio lavoro. “Siamo attoniti”, ha detto il sindaco Patrizia Barbieri, in presenza di questo racconto dell’orrore. Protagonisti in gruppo una banda di carabinieri infami.
Franco Esposito