Prima i caraibici, gli svizzeri, i tanzaniani, gli albanesi. Gli extra-comunitari, insomma. Ma non soltanto: prima anche i ciprioti e i croati, che fanno parte dell’Unione Europea. Tutti, insomma, prima degli italiani. I soldi, però, non i voti. Perché passano gli anni ma non la vocazione glocal della Lega: si guadagna (bene) in patria, si spende, si investe o almeno si deposita, all’estero. In principio, negli anni Novanta, fu l’idea del villaggio vacanze sulle coste dell’Istria croata.
Doveva chiamarsi Skipper e diventare "il paradiso dei leghisti" con tanto di golf, piscine, centro benessere, e ovviamente tanti prati verdi. A lanciarsi nell’avventura fu una società del Padovano supportata dai militanti padani e amministrata, tra gli altri, da Umberto Bossi, sua moglie, Eduard Ballaman, l’allora tesoriere Maurizio Balocchi. Finì con un fallimento, una bad bank che incorporò i debiti, costi lievitati e uno strascico quasi ventennale condito da inchiesta per bancarotta fraudolenta. Giro di valzer in tesoreria, approda Francesco Belsito, ma il senso della Lega per gli investimenti all’estero non scema. Anzi, conquista continenti.
Quattro milioni e mezzo di euro che partono per un fondo in Tanzania. Punta di un iceberg di presunte operazioni finanziarie da capogiro, tutte rigorosamente offshore in giro tra l’Africa e la Cipro amata dagli oligarchi russi, tra assegni e mazzette di dollari australiani. Bonifici e triangolazioni rimasti in gran parte oscuri. I pm indagano sull’ipotesi di rimborsi "gonfiati" tra il 2008 e il 2010, e spunta la cartellina rossa di Belsito con un’intestazione che precorre i titoli delle serie Netflix: "The Family". Dentro, tra le spese targate Bossi & dintorni, si trova di tutto: lingotti d’oro, undici preziosi diamanti finiti poi nel caveau di un broker internazionale.
Ma la Lega di spesa è più solidale di quella di governo, e non dimentica di sostenere il Vecchio Continente: 77mila euro versati all’Università Kriistal di Tirana dove i figli del Senatùr hanno ottenuto un diploma di primo livello in gestione aziendale. E’ l’epoca indimenticata delle "ramazze" di Bobo Maroni e poi del partito "parte lesa" di Matteo Salvini. Delle lunghe indagini per truffa e appropriazione indebita che impegnano le Procure di Milano, Napoli, Reggio Calabria. Delle casse sempre più vuote e dei militanti sempre più perplessi. Fino all’ormai famoso sequestro disposto dalla magistratura sui conti leghisti per cercare 49 milioni di euro sfumati chissà dove.
"Queste cose non succedono in uno Stato di diritto – protesta Bossi – Ma neanche in Turchia". A dimostrazione che esterofili sì, fessi no. Adesso, nel camici-gate lombardo, irrompe come un fulmine a ciel sereno un conto in Svizzera da cinque milioni, a sua volta generato dallo scudo fiscale su capitali detenuti alle Bahamas. C’è tutto: i paradisi fiscali e, volendo, gli svizzeri che discriminano i frontalieri italiani al grido di "prima i ticinesi". Follow the money, dice qualsiasi investigatore. Nel caso della Lega bisogna specificare: oltre confine.