Chissà se il coronavirus sta facendo sentire i suoi effetti sulle tradizioni gastronomiche con il vertiginoso calo dei consumi che la crisi sta portando. In attesa di dati al riguardo oggi 27 agosto l’Uruguay celebra la fainá, la farinata di ceci ligure, un simbolo della cucina rioplatense che sopravvive con forza anche ai protocolli sanitari che impongono il distanziamento. A tavola, e ovviamente in compagnia, c’è sempre posto per la farinata insieme alla pizza.
La leggenda narra che questo pietanza sorse per caso nel 1284 mentre Genova era in piena guerra con Pisa. Sulle galee dei liguri, a causa di una tempesta, si rovesciarono fino a mescolarsi olio, ceci e acqua salmastra. Probabilmente l’aspetto non doveva essere dei migliori ma, non avendo altro a disposizione per potersi nutrire, i marinai cominciarono a mangiare questo curioso impasto dopo averlo lasciato seccare al sole. Fu così che nacque probabilmente uno dei primi prodotti fast food del mondo portato in Sud America dagli emigrati liguri arrivati massicciamente in queste terre tra l’ottocento e il novecento.
Cibo poverissimo, sostitutivo del pane, viene preparato stemperando la farina di ceci con acqua e un pizzico di sale e riposto in una teglia bassa ma dalle grandi dimensioni (si parla di almeno un metro) che in Liguria è chiamata "testo". Come detto nel Rio della Plata la fainà fa coppia fissa con la pizza, è un duo quasi automatico ed è facile spiegarsi il perché: entrambe vanno cotte in forno a legna e ogni buon ristoratore che ne possegga uno non si lascia perdere l’occasione di servirli, anche insieme, uno sull’altro nello stesso piatto, nella formula chiamata "a caballo". Un’abitudine, questa, che potrebbe essere mal vista a Genova o a Napoli ma che, in realtà, riflette il miscuglio di italianità presente in questa zona.
Nonostante la vicinanza tra le due capitali rioplatensi anche solo il modo di riferirsi alla farinata fa capire le sostanziali differenze tra i due paesi: l’argentino infatti utilizza il femminile, più delicato ("La" fainà, come in Italia); l’uruguaiano invece lo considera un piatto maschio ("El" fainà) ed è diventato una vera e propria icona della gastronomia nazionale. È proprio per questo motivo che il 27 agosto si celebra el Día del Auténtico Fainá che ricorda l’arrivo a Montevideo -nel 1915- dei fratelli Guido considerati i propulsori della pietanza grazie alla loro azienda agricola specializzata nella produzione di farina di ceci. Questa azienda, successivamente, fu venduta ad un altra famiglia che continuò a seguire la tradizione ligure proponendo, nel 2008, la giornata nazionale della farinata.
La fainà Molino Guido fu dichiarata patrimonio storico nazionale e di interesse municipale dal Comune di Montevideo nel 2009. Allora ci furono una serie di iniziative volte a ricordare i cosiddetti "Fainaseros", ossia i venditori ambulanti italiani che con vestito bianco e fazzoletto rosso vendevano tra le vie di Montevideo la fainà portando una grande teglia sopra la testa. Per molti, in Uruguay, la farinata è anche una difficile scelta filosofica. Fettina del bordo o centrale: è questo l’essere o non essere uruguaiano, il vero problema culinario. La fainà infatti cuoce disomogeneamente nel forno, con un centro morbido e spesso che si assottiglia verso le estremità croccanti e ben dorate. A ognuno le sue preferenze. L’unica scelta obbligata è il pepe bianco, da cospargere secondo i gusti sul lato superiore (all’uruguaiana) o inferiore (all’italiana).
Matteo Forciniti