Il Pd detta le condizioni. Ma a chi? A Carlo Calenda, candidato sindaco a Roma. Prende corpo la strategia per conservare l’ex ministro all’interno dell’alleanza di Governo. Sarebbe d’accordo persino Luigi Di Maio, a dispetto delle continue dichiarazioni d’amore che continua a professare verso Virginia Raggi, sindaco uscente. Ma al patto dice no Di Battista, immancabile bastian contrario all’interno del M5S. Il confronto a distanza tra il Pd e Carlo Calenda parte quindi in salita. Leggera per ora, non ancora un picco difficile da scalare. È la corsa della vita per Nicola Zingaretti: non può permettersi di perdere in casa, nella sua città natale. Capitale d’Italia, Roma è il centro intorno a cui ruota l’intera Regione, che ha in Zingaretti il governatore da più di sette anni. Monta comunque l’idea di rinviare le primarie Pd, previste per il 6 dicembre prima che i contagi aumentassero di brutto.
Ieri sera, intanto, il sindaco Virginia Raggi e Carlo Calenda hanno partecipato all’assemblea degli attivisti romani su Zoom. Virginia Raggi, avvocato, esponente del M5S, è sindaco di Roma da giugno 2016. Contestatissima a ogni pié sospinto, accusata di ogni nefandezza e di palese incapacità come amministratore della città, ha fatto parte anche del consiglio comunale della Capitale. Alla carica di sindaco pare ambisca anche Massimo Giletti, giornalista e conduttore televisivo, che non smentisce la notizia che lo vuole in corsa per la guida del Campidoglio. Al Nazareno, cuore operativo di casa Pd, monta la convinzione che vada fatto ogni sforzo per tenere in vita la candidatura di Calenda, leader di Azione. Ma gli uomini forti dem sono altrettanto convinti che debbano essere poste precise condizioni. Anche per privare l’ex ministro dello Sviluppo di qualsiasi alibi. Calenda sarebbe infatti intenzionato a correre da solo.
Una mossa che finirebbe per portare vantaggi al centrodestra. Laddove appare in ritardo il tentativo di orientare la caccia al successore di Virginia Raggi tra la new entry Massimo Giletti appunto e il direttore del Tg2, il napoletano Gennaro Sangiuliano. Molto confuso appare il tentativo di riesumare una vecchia gloria come Gianfranco Fini, sparito dai radar politici. In casa Pd si moltiplicano le iniziative di formule e tentativi finalizzati alla ricerca di "quel profilo forte" in grado di ampliare la piattaforma della coalizione. L’obiettivo principale è quello di neutralizzare i guastatori. Ma chi sono costoro? Innanzitutto Virginia Raggi, che si è autocandidata per il bis con il blitz di agosto. Il M5S, di conseguenza, ha dovuto seguirla, malgrado diffusi malumori. Il risultato di quel blitz? I piani governativi sono andati incontro a momenti di autentica tempesta. I governisti restano comunque dell’idea che necessita sperimentare "un’intesa col Pd". Impossibile però fino a quando in campo resterà quello che Zingaretti ha definito "disastro", riferito all’operato del sindaco uscente.
Questa totale chiusura è la causa del ribaltamento dei ruoli, rispetto al periodo estivo. Di Maio è propenso ora all’alleanza "organica dei giallorossi nella città attesa al voto nella prossima primavera, fra cui Milano, Napoli, Torino, Bologna". Mentre il Pd continua a tenere il freno a mano tirato. "Dobbiamo investire in sindaci che siano in sintonia con la coalizione di Governo", ripete spesso Luigi Di Maio. "E su Roma e Milano non mi formalizzerei sui nomi, anche se per me la Raggi ha lavorato bene". Parole che hanno scatenato, come detto, la rivolta dell’eterno rivale Di Battista e dei suoi numerosi seguaci. Il contestatore ha aperto di fatto alla "guida collegiale del M5S", ribandendo il suo no al patto con il Pd. Ed è su questo che punta Virginia Raggi, per non farsi scaraventare giù dal cavallo. Difende a denti stretti la poltrona di sindaco di Roma.
Lo staff di Luigi Di Maio obbligato a una precisazione. "Il ministro non ha scaricato nessuno, il resto sono solo becere strumentalizzazioni". Appare dunque problematico liberarsi dalla Raggi padrona di casa al Campidoglio. Zingaretti ritiene che questo non è un problema del Pd. "I fatti dicono che il candidato grillino a Roma è Virginia Raggi. Nessun accordo dunque è possibile". Ma Calenda? Ancora non ha deciso se lanciarsi lancia in resta. Aspetta l’esito dei sondaggi per capire se può farcela eventualmente senza il sostegno del Pd. L’incognita tiene col fiato sospeso la coalizione di Governo. Domani la prima riunione, senza conoscere le reali intenzioni di Calenda. L’ex ministro appare però sempre più tentato, dopo gli endorsement dei renziani e dei sindaci Gori e Del Bono.
"Possiamo scappare tutti dalla più difficile sfida amministrativa che c’è in Italia, mentre sosteniamo che l’Italia può ripartire solo attraverso la buona amministrazione?". Calenda, tuttavia, è convinto, arcisicuro che una sua eventuale candidatura a sindaco di Roma "eviterebbe la saldatura Pd-Raggi". Previsioni, sviluppi possibili? Una cosa è certa: il fronte Calenda rischia di spaccare il Pd. Da qui la mossa dei dem di un’apertura all’ex ministro, leader di Azione. Però a un patto preciso e ineludibile: la smetta di fare la guerra al Governo e ai Cinque Stelle. Altrettanto chiaro è: dovesse andare avanti da solo, il Pd non gli andrà dietro.