Conti in rosso, niente pubblico: il calcio chiede ristori. Lo fa per bocca del presidente della Lega Serie A Paolo Dal Pino e per quella anche di Beppe Marotta dell'Inter. Chiede aiuto allo Stato, soldi pubblici per salvare il mondo del pallone e i conti delle società in rosso.
Chiede soldi ma non vuole toccare gli stipendi. Quando si parla di stipendi nel mondo del calcio chissà perché si pensa sempre e solo a quelli dei calciatori. Ma ci sono anche allenatori, dirigenti, addetti stampa, preparatori... Fino ai magazzinieri insomma. Eppure toccare e tagliare gli stipendi andrà fatto, è l'unica soluzione per salvare le società dai debiti e dai conti in rosso.
Il calcio come azienda. Calciatori in cassa integrazione? - Chiedere i soldi, anzi i ristori, allo Stato, fa del calcio un'azienda. E di fatto le società di calcio questo sono, delle aziende. Ma le aziende in crisi tagliano il personale, mettono i dipendenti in cassa integrazione così che una parte degli stipendi se li accolla lo Stato. Il calcio lo farà? Impossibile.
Ecco perché la richiesta di ristori è a senso unico. Aiutateci, noi non possiamo fare niente. Quando invece qualcosa si potrebbe fare eccome. Per prima cosa appuntotagliare gli stipendi dei calciatori, ma anche dei dirigenti e tanti altri, perché se una cosa è certa è che nel calcio girano parecchi soldi, molti dei quali servono a coprire gli ingaggi.
Finora di tagliare gli stipendi, ovvero quella che sembra l'ipotesi e la soluzione più ovvia, non se ne parla. Guardate per esempio cosa sta succedendo al Barcellona, dove i calciatori hanno rifiutato di tagliarsi lo stipendio per far quadrare i conti in rosso della società. Eppure anche non volendo è una cosa che andrà fatta prima o poi. Più facile e redditizio piuttosto che ricevere soldi dallo Stato...