di Gabriele Esposito
La morte del Pibe de Oro ha suscitato dolore ed emozione, sconcerto e mancanza di rassegnazione in tutti noi e in tutti i continenti; il Papa, Capi di Stato, intellettuali e gente comune di ogni angolo del pianeta hanno manifestato il proprio cordoglio per la scomparsa del più grande e più amato calciatore di sempre.
Si è assistito, però, anche al tentativo di offuscare genio, mito e leggenda del moderno Achille da parte di quei finti perbenisti che non gli hanno mai perdonato non solo di essere stato il più grande sui campi da gioco, che divenivano templi quando vi entrava, ma anche, e soprattutto, di essere amato come una divinità. A poche ore dalla morte sono riaffiorate subdole critiche per i suoi eccessi e per certe frequentazioni che, a dire di questi detrattori, mitigherebbero la sua grandezza e si è voluto amplificare il ruolo della sua città di adozione che avrebbe favorito il suo declino. Con un sol colpo, dunque, ci si è scagliati contro colui che tutti avrebbero desiderato e che invece ha voluto amare solo Napoli (oltre alla sua Argentina) e contro la stessa città, ridotta ancora una volta a patria del mandolino, della camorra e del triccabballacche.
Non si perdona a Maradona di esser riuscito a diventare simbolo di coesione e unità in una città che ha perso la sua millenaria identità culturale ed artistica; non si perdona ai cittadini napoletani di aver ritrovato orgoglio e forza soprattutto in un periodo storico, il post-terremoto, che l’aveva ulteriormente martoriata. Quegli stessi moralisti che hanno sempre coltivato l’interesse a relegare questa città a ruoli marginali o subalterni rispetto al resto del Paese e a considerarla emblema del malaffare e della superficialità, oggi si scaraventano ancora una volta tentando di delegittimare la città con la delegittimazione della Mano de Dios perché, appare chiaro, gli atteggiamenti critici sono rivolti non ad un uomo comune ma ad uno dei politici più efficienti degli ultimi decenni, a un rivoluzionario puro, a un convinto assertore del libero pensiero che non si è mai assoggettato a logiche pattizie, a un re che ha amato il suo popolo e di cui ne ha frantumato divisioni sociali ed economiche. E sono proprio gli effetti di quella politica, che spinge a liberarsi dal giogo della sudditanza e che ancor oggi fa sentire i suoi effetti, che questi cialtroni della morale intendono avversare; Napoli, come qualcuno ha giustamente osservato, piange l’uomo e non semplicemente il campione, un uomo che ha avuto il potere di ridestare un’intera popolazione da un lungo sonno e di farle rialzare la testa dalle vessazioni psicologiche di chi l’ha depredata e che la vorrebbe nuovamente veder sprofondare. È bene, quindi, avvertire coloro che carenti di carità cristiana si avventano come sciacalli sulle membra ormai inerti del più grande di sempre che non c’è nulla da fare. Maradona ha rivoluzionato Napoli per sempre e qualsiasi tentativo di becera strumentalizzazione della napoletanità non sortirà effetto. A costoro consiglio, se non hanno ancora provveduto, di vedere il Marchese del Grillo così capiranno che Diego è Diego