Nel nuovo governo, l’impronta del presidente del Consiglio Mario Draghi è sui ministeri che saranno chiave nella sfida del Recovery plan. E’ al Tesoro, Giustizia, ma anche Transizione ecologica e Transizione digitale, dicasteri fondamentali per il Green deal europeo e per la svola digitale richiesta dall’Ue, che l’ex governatore della Bce ‘piazza’ dei tecnici.
E non assegna un ministero degli Affari Europei, casella che probabilmente diventerà solo un posto di sotto-governo. Del resto, alla premiership c’è Draghi, personalità a dir poco di peso in Ue. E’ scontato che il referente principale del nuovo governo a Bruxelles sarà lui e non semplicemente perché capo dell’esecutivo.
I ‘ministeri del recovery’, chiamiamoli così per indicare i dicasteri che più saranno protagonisti dello sforzo di mettere a frutto i 209 miliardi del Next Generation Eu, finiscono de-politicizzati nella squadra di governo.
L’Economia passa da Roberto Gualtieri, scuola Pci, ex dalemiano, professore di Storia contemporanea alla Sapienza e lunga carriera politica a Bruxelles come capo della Commissione Problemi Economici del Parlamento europeo, a Daniele Franco, uomo dell’establishment finanziario, con una carriera professionale in Bankitalia, ma anche in Commissione Europea come consigliere economico e poi alla Ragioneria dello Stato dal 2013, pulpito dal quale, proprio sui conti pubblici, si è scontrato con quasi tutti gli ultimi governi, a partire da quello guidato da Renzi per finire al Conte 1.
Anche la Transizione ecologica, che per il pubblico italiano meno attento è solo la bandiera dei pentastellati, in realtà è ministero centrale nella sfida del recovery. In quanto è il dicastero che dovrà sovrintendere agli investimenti per trasformare l’economia in senso sostenibile, come prescritto dal piano di ripresa europeo e dal Green Deal, il progetto per l’economia verde voluto dalla presidente Ursula von der Leyen già prima della pandemia. Ebbene, per questo ministero che avrà anche deleghe importanti in materia di energia e ambiente, Draghi ha scelto un altro tecnico: Roberto Cingolani, fisico con una carriera nella partecipata ‘Leonardo’, non un attivista per l’ambiente, ma uomo di struttura dello Stato, diciamo così.
Sarà lui, per esempio, il titolare di una scelta importante per quanto riguarda la conversione energetica: cosa fare con i 20 miliardi all’anno che lo Stato italiano ancora garantisce come sussidio alle fonti fossili. Enrico Giovannini, portavoce dell’alleanza per lo sviluppo sostenibile, ex ministro del Lavoro nel governo Letta, il nome dato come il più papabile per il ministero della Transizione ecologica fino a ieri, in una recente intervista ad Huffpost sosteneva che quei sussidi andassero aboliti. A Giovannini è toccato il ministero delle Infrastrutture e Trasporti.
Il ragionamento è simile per quanto riguarda il ministero della Transizione digitale, altro organo vitale del piano di ripresa anti-crisi. Anche qui la scelta ricade su un tecnico: Vittorio Colao, dirigente d’azienda, autore dell’ormai noto ‘piano Colao’ commissionato dal governo Conte 2 per affrontare la crisi economica e poi accantonato.
Pure la Giustizia è chiamata in causa dal recovery fund. La riforma della Giustizia è da tempo richiesta avanzata da Bruxelles a Roma. Se ne occuperà Marta Cartabia, presidente emerito della Corte Costituzionale, una delle poche donne - va detto - nel nuovo governo.
Ma Draghi fa a meno di un ministero agli Affari Europei, carica ricoperta dal Dem Enzo Amendola nel Conte 2. Molto probabilmente, la casella tornerà a essere un posto di sotto-governo, come nell’era Renzi, premier con spiccata tendenza presenzialista nei rapporti con l’Ue. All’epoca, il sottosegretario agli Affari Europei era Sandro Gozi, che mantenne la carica nel governo Gentiloni. Anche il governo Draghi probabilmente avrà un sottosegretario agli Affari Europei. Ma d’altronde il premier è l’ex presidente della Bce: va da sé che sarà lui il massimo referente di Bruxelles nei rapporti con Roma.