Eclettico, inventivo, innovativo, Lucio Dalla è stato un grande musicista che ha accompagnato il cambiamento della società italiana. Nato a Bologna il 4 marzo 1943, come ci ricorda una delle sue canzoni più note, ci ha lasciati nel 2012 stroncato da un infarto, tre giorni prima del suo 69º compleanno, in un hotel di Montreux, cittadina svizzera, sede di uno dei festival musicali più importanti al mondo, il Montreux Jazz Festival, dove si era appena esibito la sera precedente. Ora esce una corposa biografia semplicemente intitolata “Lucio Dalla”, firmata da Ernesto Assante e Gino Castaldo edita da Mondadori. Ernesto Assante e Gino Castaldo, due autorità del giornalismo musicale, hanno recuperato tutte le tracce e le note di Lucio Dalla per ricostruire il ritratto che non c’era e che decisamente mancava. Una biografia che trabocca di musica ma anche di senso della vita per un personaggio diventato simbolo dei cantautori, della sinistra, della trasgressione e della sua città, Bologna, dove ha creato una vera e propria scuola musicale, dagli Stadio a Vasco Rossi, da Biagio Antonacci a Luca Carboni.

Già dalle prime apparizioni, Dalla dimostra di essere fuori da ogni schema, mai legato al conformismo, imprevedibile in termini di immagine e di comunicazione, popolare ma di alta originalità. Un artista capace di attraversare vari generi, dalla musica al cinema, dal teatro alla televisione, lavorando spesso spalla a spalla con altri cantanti come Gianni Morandi e Francesco De Gregori, utilizzando parolieri e poeti come Roberto, Roversi, passando da canzonette per giovani e brani jazz con il suo immancabile clarinetto, dal pop di consumo al cantautorato, fino a una sorta di teatro musicale di profonda coscienza civile e politica. Così Dalla, col suo modo buffo e beffardo, calca la storia della musica italiana, con quell’aria da giullare stralunato che gli consente di giocare con il pubblico, quasi divertendosi a prendere il giro i luoghi comuni. I due giornalisti di “Repubblica” analizzano i suoi gusti e la sua genialità attraverso aneddoti e incontri che hanno caratterizzato la sua intensa esistenza, sino all’età di 69 anni.

Figlio di un commerciante di oli e direttore del club di tiro a volo di Bologna e di Iole, modista, fin da piccolo Lucio dimostrò una passione per la musica. Già a tre anni scappò per cantare una canzone, “Op, Carolla”, con l’orchestrina del Caffè Centrale, che si affacciava su piazza Maggiore a Bologna e a sei anni cantava operette, imparando a suonare fisarmonica e clarinetto. Nel marzo 1960 entrò nella più famosa jazz band di Bologna, la Rheno Dixieland Band, come secondo clarinettista al fianco di Pupi Avati, ma due anni dopo viene assunto dai Flippers su suggerimento di Ennio Morricone che lo aveva ascoltato suonare ad un festival. La svolta avviene grazie a Gino Paoli che conosce Dalla al Cantagiro del 1963 durante il quale i Flippers accompagnano Edoardo Vianello. Lo porta agli studi Rca di Roma e gli fa incidere la sua prima canzone, “Lei (non è per me)”. Lucio esige di cantare al buio. Perché? Si era messo le mutande in testa!

È lì che Lucio Dalla incontra Renzo Arbore. Scopre che la madre di Arbore era stata la sua “baby-sitter”. Per nulla intimorito dai primi insuccessi, forma nel 1966 un proprio gruppo di accompagnamento con i musicisti bolognesi, “Gli Idoli”, con i quali incide il suo primo album, intitolato “1999” basato su due brani: “Quand'ero soldato”, vincitore del premio della critica al Festival delle Rose e “Pafff...bum!”, presentato al Festival di Sanremo, abbinato con gli “Yardbirds” di Jeff Beck. A Sanremo fa ritorno l'anno seguente, con “Bisogna saper perdere”, abbinato con i Rokes di Shel Shapiro. Il 1967 è anche l'anno del suicidio di Luigi Tenco, che aveva collaborato con Dalla per uno dei testi del suo primo disco e con cui aveva stretto amicizia: «Con Tenco avevo avuto rapporti di amicizia e di collaborazione - ricorda l'artista - Andammo a Sanremo insieme, prendemmo la camera vicina, e la sua morte mi sconvolse... non dormii per un mese».

Nel 1971 partecipa nuovamente al Festival di Sanremo presentando la canzone “4/3/1943” su testi di Paola Pallottino, che gli vale il terzo posto assoluto e il successo internazionale. Da allora non ha quasi mai sbagliato canzone sia come autore che come cantante, soprattutto grazie alla collaborazione del gruppo “Gli Stadio” di Gaetano Curreri. Restano celebri “L’anno che verrà” dedicata a Giuseppe “Ros” Rossetti, artista bolognese arrestato per errore durante un’inchiesta sull’estremismo politico in città; "Futura”, scritta in mezzora, seduto su una panchina di fronte al Muro di Berlino, mentre nella panchina di fianco si siede Phil Collins, in città per un concerto con i Genesis; “Caruso”, che nasce al Grand Hotel Excelsior Vittoria di Sorrento, dove Dalla si rifugia dopo un’avaria alla sua barca “Catarro”, nella suite dove aveva vissuto un paio di mesi il tenore Enrico Caruso poco prima di spegnersi nel 1921.

Il 16 giugno 1979 parte da Savona lo storico tour “Banana Republic” in cui Dalla divide il palco con Francesco De Gregori. Il cielo minaccia pioggia, così prima del concerto Lucio inizia a girare per lo stadio recitando «Gesù, Gesù, non far piovere quaggiù, fai piovere più in là, c’è Guccini che suonerà». Nel 2012 accetta l’invito al Festival di Sanremo fatto dall’amico di sempre Gianni Morandi, che quell’anno conduce per la seconda volta. Non vuole partecipare da ospite, però, bensì da direttore d’orchestra e coautore per la canzone “Nanì” di Pierdavide Carone, quinta classificata. L’esibizione nella serata finale del Festival è l’ultima di Dalla in Italia. A due anni di distanza dalla morte del cantante, viene costituita la "Fondazione Lucio Dalla", con relativa ufficializzazione a partire dal giorno 4 marzo 2014. La fondazione ha sede nella sua casa di via D'Azeglio a Bologna e ha come obiettivo principale quello di valorizzare l'esperienza e il patrimonio culturale dell’indimenticabile artista.

MARCO FERRARI