Avendo cavalcato tutti gli istinti più basic, i sentimenti più assatanati e le scorciatoie politiche più avventurose, non c’è da sorprendersi che Salvini venga sbertucciato dagli avversari perché adesso è costretto a barcamenarsi tra presente e passato, tra quanto predicava senza remore ieri (l’Italexit, i porti chiusi, la tassa piatta, il vaccino russo) e ciò che invece sta razzolando da quando è tornato nella famosa stanza dei bottoni. È un po’ come sparare sulla Croce Rossa: un bersaglio talmente facile da mettere nel mirino, così maramaldesco su cui sfogarsi, che nemmeno i sadici ci proverebbero gusto. Anzi, il Capitano suscita quasi un filo di tenerezza quando cerca di argomentare come Mario Draghi (rispetto al predecessore Giuseppe Conte) abbia incarnato già una grande svolta in positivo per l’Italia e il nuovo governo (nonostante conservi a bordo Cinque stelle e Pd) stia facendo tutto ciò che desiderava la Lega se si eccettua qualche dettaglio, tra l’altro di poco conto.

In realtà, le cose stanno diversamente. Almeno finora la Lega non ha portato a casa nulla di memorabile; si è fatta piacere quel poco che l’ex banchiere ha concesso alla destra, ma che qualunque persona dotata di cervello probabilmente avrebbe fatto al posto suo, tipo sbarazzarsi di Arcuri e delle costose “primule”, alzare la voce con gli sciagurati di Bruxelles per come hanno gestito l’acquisto dei vaccini, farsi sentire con Big Pharma minacciando il blocco delle esportazioni o cancellare le cartelle esattoriali putrefatte senza paura di chiamare la sanatoria con il suo vero nome, cioè “condono” fiscale. Per adesso Draghi segue la propria agenda, che è tutta dettata dall’emergenza socio-sanitaria e in minima parte coincide con quella del Capitano; o perlomeno, con la narrazione su cui aveva costruito la propria fortuna Salvini.

Al quale resta un solo modo per rassicurare gli ultrà del suo mondo che, ultimamente, non ci vedono chiaro (vedi l’ottima intervista concessa da Claudio Borghi a “Repubblica”): presentare il sostegno a questo governo come passaggio transitorio, quale ripiegamento tattico magari sofferto ma purtroppo necessario in attesa dei “pieni poteri”. Quel giorno sì che la Brexit farà da modello, e potremo richiamare in gioco l’euroscettico Giulio Tremonti, sperimentarne le ricette economiche più creative, riprendere con slancio la caccia ai migranti, comprare da Vladimir Putin tutte le fiale di Sputnik e, magari, anche di Novichok prodotte nei laboratori russi senza bisogno di attendere l’autorizzazione dell’Ema.

Per tutti i sovranisti sarà finalmente l’Eden in terra. Nell’attesa però bisogna tirare il freno. Accettare l’Europa quanto basta per non regalare voti a Giorgia Meloni. Sparare contro le zone rosse, ma senza esagerazioni perché col Covid non si viene a patti. Contrastare gli sbarchi evitando, se possibile, di far saltare il governo. Criticare Draghi senza che Super-Mario tiri fuori gli artigli. Sopportare pazientemente il presente e preparare il futuro con quel tanto di realpolitik, di ambiguità che adesso è fin troppo facile rimproverare a Salvini ma, per onor del vero, non ha inventato lui. Anzi, nei tempi andati la doppiezza era quasi sinonimo di sinistra. Per quanto sacrilego possa apparire il confronto, Matteo sta tentando di applicare con 70 anni di ritardo la stessa spregiudicata ricetta che fu tipica del “Migliore” tra i comunisti di allora, vale a dire Palmiro Togliatti.

La “doppiezza togliattiana” è passata alla storia come capacità sopraffina di far convivere lotta e governo, demagogia e buonsenso, ribellismo e responsabilità istituzionale. Da una parte Togliatti scatenava le piazze contro la borghesia, dall’altro le frenava un attimo prima del patatrac. Quando fu vittima di un attentato, e i compagni volevano fare l’insurrezione armata, toccò proprio a lui bloccarli per carità di patria. Politicamente, un gigante della Repubblica. Il Pci crebbe fino a quando, entrato nel 1978 al governo, l’incantesimo si spezzò. Fu chiaro che non era più possibile tenere i piedi in due scarpe, dentro e fuori le stanze del potere. Il declino comunista prese inizio da lì. Quello di Salvini, più modestamente, è incominciato al Papeete. Per troppa demagogia e mancanza di serietà. Tornare al governo con Draghi, rimangiandosi certe sciocchezze, può fargli solo del bene.

UGO MAGRI