La censura in Italia non esiste più: il ministero della Cultura ha annuncia la decadenza della legge sulla censura cinematografica. Al posto degli irriducibili censori, ora opererà un comitato di esperto formato da 49 componenti per valutare "la corretta classificazione delle opere cinematografiche da parte degli operatori".
Prima erano al lavoro una serie di commissioni che assegnavano ai film l’eventuale divieto in base ai contenuti. D’ora innanzi saranno a distributori a proporre, in base alla legge del 2016, la classificazione per fasce d’età, con divieti a 6 anni, 14 o 18 anni. La commissione avrà facoltà di confermare o meno la proposta dei distributori senza proporre tagli, modifiche o la proibizione dell’intera pellicola, come accadeva prima. Il massimo della limitazione è, appunto, quella del divieto ai minori dei 18 anni. L’ultimo film "condannato a morte" e poi salvato era stato, nel 1998, “Totò che visse due volte” di Daniele Ciprì e Franco Maresco.
In verità nel 2011 è stata proibita la distribuzione dell’horror indipendente “Morituris” di Raffaelle Picchio, il racconto delle violenze perpetrate da un gruppo di gladiatori sulla popolazione romana, che poi è uscito in home video. In taluni casi era la stessa produzione o distribuzione a intervenire censurando un film. Un esempio recente è il film “The Wolf of Wall Street” di Martin Scorsese, dove a un primo parere della Commissione di revisione che concedeva il nulla osta con un divieto ai minori di 14 anni, ne seguì uno che toglieva ogni divieto, grazie a decine di tagli di scene di sesso, assunzione di droga, violenza sugli animali. Nel tempo gli archivi ministeriali della Direzione Cinema sono diventati un pozzo senza fine per gli storici.
I documenti della censura "preventiva" e di quella "ex post", in fondo, non sono altro che lo specchio della società italiana. Non esiste molta documentazione sulla censura cinematografica fascista per una semplice ragione: le pellicole da produrre venivano accuratamente scelte dal regime dittatoriale. Nel dopoguerra, invece, i governi a guida democristiana hanno soprattutto limitato e oscurato le scene riguardanti il sesso e la politica.
La situazione divenne molto critica con il boom economico e il sessantotto poiché esisteva una forte distanza tra le istanze intellettuali dei registi e le istituzioni dello stato. Non a caso ci vorranno i referendum sul divorzio e sull’aborto per fare un passo avanti sul piano delle libertà individuali. In quel periodo a subire le scure dei censori sono stati registi importanti quali Pasolini (“Accattone” e “La ricotta”), Visconti (“Rocco e i suoi fratelli”), Lattuada (“I dolci inganni”). I casi più eclatanti sono stati quelli di “Salò o le 120 giornate di Sodoma” di Pier Paolo Pasolini del 1975, “Arancia Meccanica”, “Ultimo Tango a Parigi”, “Cannibal Holocaust”.
L’opera “Salò o le 120 giornate di Sodoma” venne presentato al Festival cinematografico di Parigi tre settimane dopo l'uccisione del regista, arrivò nelle sale italiane il 10 gennaio 1976 e scatenò accese proteste e lunghe persecuzioni giudiziarie: il produttore Alberto Grimaldi venne processato per oscenità e corruzione di minori e nel 1976 fu decretato il sequestro della pellicola, che scomparve dagli schermi prima di essere rimessa in circolazione nel 1978. Su ispirazione del celebre romanzo del marchese De Sade e degli scritti di Barthes, in un’ambientazione nella famosissima quanto controversa Repubblica di Salò nel ’44, Pasolini mette in scena un film struggente e potente, bloccato dalla censura, poi mandato nelle sale tagliato e vietato ai minori, infine nuovamente sequestrato perché segnato da attacchi fascisti.
Molto contrastato il destino di “Ultimo Tango a Parigi” del 1972 di Bernardo Bertolucci con Marlon Brando e Maria Schneider, rimasto bloccato sino al 1987 per alcune scene giudicate scandalose, sbloccato e quindi ritornato in sala nel 2018 dopo il restauro della bobina. La pellicola, peraltro, veniva proiettata tutti i giorni in una sala parigina, attirando molti turisti italiani. Particolare il caso del film “Il Leone del deserto” del 1981 di Moustapha Akkad sul colonialismo italiano in Libia, censurato dall'allora primo ministro italiano Giulio Andreotti e poi trasmesso per la prima volta sulla pay-tv satellitare nel 2009.
MARCO FERRARI