Domani é la Festa della Liberazione, della democrazia, possibile solo quando c’è libertà, é la Liberazione dal nazifascismo, che l’Italia festeggia ogni 25 aprile. É sicuramente la pagina del nostro paese che meglio rappresenta questa certezza. Un’Italia che continua a cambiare, a 76 anni di distanza, ma che nel 25 aprile trova in larga parte la memoria condivisa di una transizione decisiva: dall’occupazione nazifascista alla ripresa del Nord del paese e di una città simbolo come Milano. Preludio quindi alla definitiva vittoria nel secondo conflitto bellico e alla fine della dittatura. Il 25 aprile 1945 il Comitato di liberazione nazionale Alta Italia (Clani), che coordinava i diversi gruppi della Resistenza nel Nord, deliberò un ordine di insurrezione generale nei territori ancora schiacciati dall’occupazione.
Agli occupanti non restava che una scelta: “Arrendersi o perire”, come da proclama lanciato alla radio. L’insurrezione portò alla liberazione dei maggiori capoluoghi del Nord, come Milano e Torino, prima dell’arrivo delle stesse truppe alleate, che superata la Linea Gotica, erano già in Emilia Romagna, a Bologna, il 21 aprile. Non meno rilevante, negli stessi frangenti, anche il destino di Benito Mussolini, che proprio la sera del 25 aprile fuggì da Milano in direzione di Como ma intercettato nei giorni successivi dai partigiani il 27 aprile fu processato e fucilato a Dongo.
Con una legge ordinaria nel maggio 1949, concernente le Disposizioni in materia di ricorrenze festive, fu stabilito che il 25 aprile (già festeggiato a partire dal 1946), quale anniversario della Liberazione, rientrasse tra i giorni considerati di festa nazionale. E tuttavia, proprio dal succedersi anno dopo anno della ricorrenza della Liberazione, è possibile comprendere l’evoluzione stessa del modo in cui gli italiani recepiscono e partecipano una giornata che non è mai stata esente da contrapposizioni politiche e culturali.
Come osservato infatti dalla storico Giovanni De Luna, non sono mancate fasi in cui l’anniversario stesso ha subito i contraccolpi di altre vicende e processi, che hanno portato in alcuni casi a far sì che “gli “aspetti celebrativi tendevano a soppiantare quelli militanti”, fino ad approdare però al punto in cui si può ammettere che “ricordare il 25 aprile 1945 vuol dire anzitutto dare la possibilità a chi non c’era di conoscere la Resistenza nella nuda e scarna verità in essa racchiusa: quel giorno l’Italia ha riconquistato la libertà; lo ha fatto grazie all’impegno attivo di una esigua minoranza”.
Non sono mancati nemmeno, negli anni, tentativi di mettere in discussione il 25 aprile, all’interno di una più larga tendenza a rivedere in chiave critica alcuni aspetti della lotta partigiana: come ben sottolineato però nel 2015 dal presidente della Repubblica Mattarella, a Milano, in occasione dei tradizionali festeggiamenti, “la Liberazione è un punto di connessione della storia del nostro popolo” e “non c’è equivalenza possibile tra la parte che allora sosteneva gli occupanti nazisti e la parte invece che ha lottato per la pace, l’indipendenza e la libertà. […] Pietà per i morti, rispetto dovuto a quanti hanno combattuto in coerenza con i propri convincimenti: sono sentimenti che, proprio perché nobili, non devono portare a confondere le cause, né a cristallizzare le divisioni di allora tra gli italiani”.