Marco Ferrari torna in libreria con il romanzo “Un tango per il duce” edito da Voland che ha per scenario il Sud America. Una storia surreale che si basa su una fantasiosa fuga di Mussolini in Argentina. Il libro (acquistabile su Amazon o sul sito della casa editrice Voland) è stato presentato in anteprima nazionale al Salone del Libro di Torino. Chiediamo a Marco Ferrari, nostro collaboratore, di descriverci la sua nuova fatica letteraria.
Come insegna il film “Loro” di Sorrentino dedicato a Berlusconi vanno di moda le biografie artistiche dei grandi personaggi. Anche lei, chiediamo a Marco Ferrari, è stato attirato da un uomo che ha segnato la storia italiana?
“Il mio libro ha un tono surreale, ironico, irriverente e canzonatorio, va iscritto più al filone dei romanzi di Graham Greene, Osvaldo Soriano, Jorge Amado e Tom Clancy. Oppure a un certo cinema che fa ridere anche sulle tragedie della guerra come “Il grande dittatore” di Charlie Chaplin oppure “La vita è bella” di Roberto Benigni” ma anche “Bastardi senza gloria” in cui Tarantino fa morire Hitler, Goebbels, Goering e tutti i gerarchi nazisti
in una cinema di Parigi. L'ucronìa è un genere di narrativa fantastica basata sulla premessa generale che la storia del mondo abbia seguito un corso alternativo rispetto a quello reale".
Da dove ha preso tutti questi elementi personali e intimi su Benito Mussolini?
"Devo ringraziare il compianto Arrigo Petacco con il quale ho lavorato fianco a fianco negli
ultimi anni pubblicando insieme “Come eravamo”, “Ho sparato a Garibaldi” e “Caporetto”. Petacco ha scritto una delle biografie più obiettive, “L’uomo della provvidenza”, che ricostruisce la straordinaria vicenda del cosiddetto “figlio del fabbro” che conquistò il potere e portò l’Italia alla guerra. Ecco, tutte queste confidenze di Petacco formano l’ossatura del mio libro, come ad esempio la sua ulcera o l’amore peri cavalli. Insomma, ho rivoltato a mio modo tutto ciò che Petacco mi ha raccontato usando l’arma a me più congeniale, l’ironia dissacrante.
Cosa accade del libro di fantastoria? Mussolini resta vivo e finisce come tanti gerarchi nazi-fascisti in Argentina sperando in una rivincita?
“Se il cadavere appeso in piazzale Loreto non fosse quello di Mussolini? Se a essere catturato dai partigiani fosse stato il suo sosia ufficiale mentre il vero duce prendeva il
largo alla volta del Sud America come tanti gerarchi nazisti e fascisti? È da questa ipotesi da cui parte “Un tango per il duce”, che da quel famoso aprile 1945 fa iniziare la ipotetica seconda vita di Benito Mussolini. Arrivato nel nuovo continente, l’ex dittatore si stabilisce in un paesino sperduto dell’entroterra argentino abitato da una piccola comunità di immigrati romagnoli. Raggiunti a stento da un’eco lontanissima della guerra, i residenti di Romagna Argentina lo accolgono con curiosità ma senza riverenze; tuttavia la forte personalità e la retorica tronfia del duce convincono presto un piccolo esercito di scapestrati a seguirlo in quella che dovrebbe essere la riconquista di Roma... ma il tutto si fermerà in una sperduta cittadina chiamata Generale Jacopetti dove il duce per sopravvivere sarà costretto a vendere piadine. Con spunti dialettali e ironici, il mondo romagnolo rovesciato mette a nudo i sogni di grandezza del duce costretto a muoversi tra galline e armadilli in un ambiente senza energia elettrica né linee telefoniche che stronca sul nascere i suoi propositi di rivincita. Il tutto si configura dunque come una grottesca rappresentazione di una improponibile svolta storica in cui il tango diventa una metafora dell’inconcludente desiderio di ritorno.
Che ruolo ha il tango in rapporto a un personaggio così invadente come il duce?
“Nel tango la parola più usata è “volver”, tornare. Il tango è un pensiero triste che si balla perché si basa sulla nostalgia delle radici perse per sempre, dunque si addice ad un fantasioso Mussolini che vorrebbe tornare là dove ha perso”.
Quale obiettivo si è posto con questo libro?
“Smontare le retorica fascista. Messo in un ambiente poco consono anche il linguaggio mussoliniano, così ricco di enfasi, si sgonfia. Parole come “atletico vigore”, “vittorie intercontinentali”, “irradiare nuova luce”, “l’ora segnata dal destino”, “schiavi di Albione”, “il tempo del riscatto” non hanno più senso. Anzi diventano ridicole. E così le risate sono assicurate, sino alla fine”.
Il libro è aperto da una lunga serie di nomi a cui è dedicato. Di chi si tratta?
“Quella parte della mia famiglia, originaria della Spezia, che è emigrata in Argentina. Una lunga catena iniziata a fine ottocento e terminata solo nel secondo dopo guerra. Alcuni di loro sono pure tornati a vivere in Italia. Con gli altri è molto più facile comunicare oggi con Whatsapp e posta elettronica. Ma ricordo ancora quando una volta l’anno arrivavano le lettere e i pacchi a mia nonna. Era un mondo distante e sconosciuto. Io sono stato il primo a raggiungerli a Buenos Aires negli anni ottanta. Erano talmente tanti che non sono mai riuscito a uscire dal quartiere dove abitano tuttora”.
Francesca Porpiglia