Il "Green deal" europeo, ovvero la transizione verde a tappe accelerate che l'Ue ha intrapreso, presenta tanti aspetti - su alcuni dei quali mi sono già soffermato - e tra questi vi è quello delle materie prime. O meglio delle "commodities", categoria classificata internazionalmente, che per l'Ue presenta varie scarsità per arrivare ad uno sviluppo sostenibile durevole. Ciò (come altro) richiede una politica estera europea anche nei confronti dei Paesi dotati di commodities che potrebbe diventare persino più debole con l'uscita della Merkel. Gli Usa hanno il dollaro in cui i prezzi di tutte le commodities sono cifrate (salvo la lana australiana!). La Cina ha da decenni un politica della geo-economia per le commodities. L'Ue ha accentuato la sua attenzione adesso con il commissario europeo Breton.
Il Pnrr e le materie prime 2021-2026 - In Italia nel Pnrr il tema delle commodities appare con richiami piuttosto concisi. Il primo richiamo punta a "salvaguardare le catene del valore e le infrastrutture critiche, nonché garantire l'accesso alle materie prime di importanza strategica e proteggere i sistemi di comunicazione". Il secondo accenna all'integrazione nell'economia circolare della variabile riferita alle "materie prime critiche" anche se non si precisa se la criticità sia quella riferita alle 30 materie prime classificate dalla Ue o a quella italiane. Il terzo si riferisce allo "sviluppo della filiera agroalimentare sostenibile", puntualizzando che andrà migliorata la "capacità di stoccaggio al fine di preservare la differenziazione dei prodotti per qualità, sostenibilità, tracciabilità e caratteristiche produttive". Ci sono anche altri riferimenti alle commodities, ma sarebbe importante sapere se i Ministeri più impegnati per le opere pubbliche in cantiere con il Pnrr abbiano fatto o stiano facendo una valutazione, sia pure approssimata, su quantità e costi delle commodities necessarie. Dal punto di vista della filiera produttiva che passa per le imprese e arriva ai consumatori, Confindustria e associazioni manifatturiere hanno segnalato forti criticità per scarsità di materie prime e crescita dei prezzi. Questa situazione si accentuerà con le opere pubbliche del Pnrr a meno che la situazione delle produzioni mondiali di commodities e dei trasporti si normalizzi rapidamente. Del che è lecito dubitare molto. Il comprensibile entusiasmo per il nostro macro-Pnrr che ha già avuto 25 miliardi di anticipi non deve sottovalutare altri meta-problemi.
Materie prime, imprese, consumatori in Italia - Scarsità e prezzi delle commodies hanno innescato in Italia sia una dilatazione dei tempi di consegna che diventano "costi" per chi vende e per chi compera, sia vere e proprie interruzioni, sia aumenti dei prezzi dei prodotti finiti o compressioni dei margini di profitto. È un preoccupante insieme di effetti evidenti a tutti e basta guardare all'edilizia per altro positivamente in forte ripresa.
È bene ricordare che i prezzi internazionali in dollari delle commodities usate dalle imprese italiane hanno avuto macro-incrementi. Per citare alcuni casi da ottobre 2020 a giugno 2021 il rame ha registrato un +43%, il ferro +79%. In euro (oggi più debole sul dollaro rispetto a quanto osservato in occasione dell'ultimo ciclo rialzista dei prezzi di oltre dieci anni fa) e per l'intero 2021 Prometeia stima che i prezzi delle commodities hanno avuto incrementi che vanno dal 104% per quelle siderurgiche (laminati piani in primo luogo), all'87% del legname, al 39% della cellulosa, al 33% del cotone.
Non è solo (anche se non è certo poco) una questione di prezzi delle commodities usate dalla manifattura, ma anche di vera e propria carenza delle stesse. Per evitare strozzature, le imprese dovrebbero aumentare gli stoccaggi delle commodities (se le trovano), ma anche questo ha un costo prima e un rischio poi, ovvero quello di pagare prezzi di approvvigionamento alti. In altre parole, il prodotto finito "just in time" non si può fare e questo penalizza di più le imprese innovative. Ci sono quindi imprese che decidono interruzioni della produzione e collocano in cassa integrazione i lavoratori. Si genera così un danno a imprese, lavoratori e acquirenti di prodotti finiti o semilavorati.
Quanto alle commodities energetiche, i prezzi sono molto cresciuti per fattori sia stagionali, legati ai maggiori consumi estivi di energia, sia strutturali, connessi in particolare per quanto riguarda l'energia elettrica agli elevatissimi livelli raggiunti dai prezzi dei diritti di emissione.
Una conclusione europea: previsioni e precauzioni - Le previsioni dei prezzi delle commodities sono di un rallentamento nella crescita o di una curvatura verso il basso. L'indice di Prometeia in euro nel mese di luglio su giugno è sceso per la prima volta dal luglio 2020, rispetto al quale comunque si è avuto un incremento del 62,8%. Nel 2022 dovrebbe proseguire il ribasso, ma non riportare ancora ai livelli in euro prima del 2020. Se tuttavia si considera la filiera verticalmente integrata "dalla miniera, al trasporto, alle imprese, al consumatore", il principio di precauzione rafforza il problema più generale che riguarda tutta la Ue. Bisogna chiedersi come acquistare una relativa indipendenza nell'approvvigionamento di commodities, su cui abbiamo una duplice vulnerabilità: quella della produzione e quella valutaria, visto che le stesse sono tutte prezzate in dollari. Se davvero l'Europa varasse tanti partenariati con Paesi produttori dovrebbe anche fissare i prezzi in euro per far compiere alla nostra valuta un ulteriore passo e per rendere l'Ue il terzo polo della geopolitica e della geoeconomia mondiale. La Cina lo sta facendo con partenariati in natura (infrastrutture o prestiti contro materie prime) ed è anche chiaro che cercherà di rendere il Renmimbi la valuta del "Sud globale".
L'Europa ha titoli per non essere solo uno spettatore? Credo proprio di sì!