Il mondo sconvolto da quanto sta succedendo in Afghanistan deve interrogarsi sulla validità delle azioni dei Paesi più potenti realizzate sotto l'egida della: "Esportazione della democrazia",che nasconde sempre profondi interessi economici ed è seguita da guerre sanguinose regolarmente perdute, le cui atroci conseguenze distruggono le condizioni di vita locali.
I tentativi di "Costruzione della Nazione", come adozione tout court della propria forma di Stato e di governo operati in Afghanistan prima dalla Russia, poi dagli USA, sono miseramente falliti ambedue, perché basati sulla pretesa di plasmare un intero popolo a propria immagine e somiglianza, a prescindere dalla storia locale. Il concetto di Nazione, che equivale a nascita o generazione, era stato definito già nel 1353 da Giovanni Boccaccio, come: "Complesso degli individui legati da una stessa lingua, storia, civiltà, interessi, specialmente in quanto coscienti di questo patrimonio comune". I soloni politicamente corretti e gli onniscienti, che si pronunciano su tutto, imperversano su giornali, talk show e social da Facebook a tiktok, per spiegare la situazione dell'Afghanistan in questo momento, suggerendo tutto e il contrario di tutto.
Noi ci permettiamo invece di ricordare quanto disse Anwar el Sadat, controverso Presidente egiziano, poco prima di essere assassinato da un membro della Jihad islamica per aver firmato la pace con Israele, che gli valse il Nobel insieme a Menachem Begin per gli accordi di Camp David del 1978. In un'intervista, a chi gli chiedeva perché non procedesse più rapidamente nell'instaurare riforme sociali, Sadat rispose che i tempi di passaggio ai princìpi delle democrazie compiute vanno scanditi sui ritmi della capacità di assorbimento dei cambiamenti da parte di realtà governate da secoli da sistemi tribali e da interpretazioni sempre più costrittive del Corano. A esempio citò quanto era appena successo in Persia allo Scià Reza Pahlavi, che aveva imposto troppo rapidamente l'occidentalizzazione del suo Paese e la creazione di una élite di fasto e ricchezza. Evidentemente nessuno dei quattro presidenti americani, che si sono succeduti dall'11 settembre del 2001 a oggi, ha mai compreso questa esortazione. George W. Bush figlio, non contento della preemptive strike – prima ammazzi poi discuti – dell'invasione in Afghanistan nell'ottobre 2001, procede nel 2003 con shock & awe – colpisci e terrorizza – in Iraq, con la scusa della presenza di armi di distruzione di massa, di cui non esiste traccia.
In realtà, la decisione è basata sul controllo dei campi di petrolio e sul presunto complotto contro suo padre,George H.W. Bush, da parte di Saddam Hussein, dittatore e bruttissimo figuro che, tuttavia, guidando uno Stato non teocratico, da grande capo sunnita nel Medio Oriente a maggioranza sciita, stava riuscendo a mantenere una parvenza di equilibrio tra i contrapposti islamismi. A sua volta, Barack Obama, il demiurgo creatore di democrazie, magari da intitolare a una futura leggenda obamista, sostiene a parole le rivolte del 2010 – 2012, denominate "primavera araba" nei Paesi del Nord Africa, ma rigetta i risultati delle loro elezioni democratiche, che portano al potere forze islamiche e filo Al Qaeda, e abbandona gli insorti al loro destino di guerre civii ancora in corso, condannando il Mediterraneo alla destabilizzazione dell'Intero Nord Africa senza possibilità di salvezza a tutt'oggi. Il genio della follia imperialista "USA über alles", Donald J. Trump, conclude invece il 29 febbraio 2020 l'accordo con i talebani, firmato a Doha nel Qatar, per cui – a fronte della promessa da marinaio dei talebani di "non permettere ad alcuno dei suoi membri, individui o gruppi compresa Al Quaeda, di usare il suolo dell'Afghanistan per minacciare la sicurezza degli Stati Uniti e dei loro alleati" gli USA cancellano le liste di terroristi talebani, e dichiarano: "Gli Stati Uniti e l'Emirato islamico afgano... si attendono che le relazioni tra gli Stati Uniti e il nuovo governo islamico afgano saranno positive". Al povero Joe Biden rimane in mano il cerino acceso dell'effettvo, se non formale, riconoscimento del Governo talebano, quindi decide di onorare la decisione di Trump di ritirare le truppe dall'Afghanistan. Le priorità di Biden sono ormai ben diverse.
La prima consiste nella battaglia per arginare lo sfilacciamento progressivo della democrazia all'interno degli stessi Stati Uniti, dove gli Stati chiave per le elezioni presidenziali procedono a colpi di leggi elettorali ultraconservatrici che riducono a barzelletta i principi del suffragio universale e dell'uguaglianza. La seconda sta nel superare la sempre più rigida contrapposizione fra democratici e trumpiani in un momento in cui l'economia stenta a riprendersi, mentre la pandemia e il rifiuto di vaccinazioni e mascherine salgono a nuovi picchi. Biden conferma il ritiro delle truppe dopo 20 inutili anni di Governi marionetta rifiutati dai capi tribali. Il risultato è una tragedia umanitaria pari a quella dell'uscita dalla disastrosa guerra nel Vietnam. Quanto fin qui riepilogato non è che una davvero minima traccia dei fatti, degli errori e degli orrori che ne sono conseguiti.
Nella storia del mondo la democrazia e l'uguaglianza dei diritti sono state conquistate con le proteste e, quasi sempre, con il sangue versato nelle guerre civili autoctone, mai con le imposizioni dall'esterno e dall'alto. Ne sono esempi la nascita degli Stati Uniti nel 1776 e l'Unità d'Italia nel 1861, l'abolizione della schiavitù in America nel 1865, la concessione del diritto di voto alle donne – nel 1920 in USA e nel 1946 in Italia – e agli afroamericani nel 1957. L'evoluzione delle abitudini di struttura edi vita delle società umane, dalla preistoria a oggi, ha seguito il passo di lenti adattamenti anche a influssi di culture altrui,accettate perché ne è stato riconosciuto il valore positivo. Se ciò non avviene, il pesante obbligo di salvare le vittime innocenti delle proprie presunzioni ricade su chi impone ad altri popoli ilproprio modello senza averne previamente creato le condizioni di accettazione e sostenibilità alla luce delle realtà locali.